La Williams, questa di oggi, imbrigliata in uno status di ultima della classe, quanto di più ingiusto nelle apparenze vista la caratura storica. Una situazione forse irreversibile, da tempo immemore senza via d'uscita. Una resistenza che ha dell'ammirevole, che lascia comunque tanti punti di domanda tra palco e realtà, soprattutto dopo l'annata forse più catastrofica di tutta la sua gloriosa storia. Cosa, come fare per salvare il mito di Frank?
"Resistere, resistere, resistere."
“Resistere, resistere, resistere”: così diceva qualche anno fa un magistrato italiano, ma l’invito è adattissimo al drammatico momento che sta vivendo la Williams, storico team di F1.
Il grosso della celebre storia di questa scuderia inglese è stata prerogativa del “vecchio” Frank, tenace per carattere ed evidentemente molto capace come Team Principal. Al suo fianco Patrick Head ha inaugurato il periodo d’oro del team, dal 1979 in avanti, ricco di vittorie e di titoli. Nel mezzo, la Williams si è talvolta ritrovata in bruttissime acque: gli esordi sono stati stentati, a voler essere generosi, ed anche in seguito l’abbandono della Honda, la morte di Senna, il ritiro di Renault, hanno portato ad annate infelici. Fino alla eterna promessa Williams motorizzata BMW di inizio anni 2000.
Un matrimonio terminato nel 2005 che ha aperto il periodo più nero per la squadra, illuminato dal solo successo di Maldonado in Spagna nel 2012. La crisi si acuisce con il passaggio del testimone alla figlia di Frank, Claire, che tenta la carta dei piloti con la valigia, Stroll prima, Sirotkin poi. Nel 2019, perso lo sponsor Martini ed i soldi della famiglia Stroll, si decide di ricorrere al rientrante Kubica, la cui storia di ritorno alla F1 è mediaticamente significativa, affiancato dal debuttante Russell. I risultati sono disastrosi, il cronometro sentenzia che la FW42 è improponibile, abbonata al fondo della griglia.
L’impressione è che la Williams sia vicina a raggiungere vecchie glorie della F1, scomparse in modo anonimo o imbarazzante, come Tyrrell, Brabham, Lotus, Arrows. C’è però un'alternativa, ossia emulare un’altra “vecchia” gloria, la McLaren, che per due volte nella sua storia si è trovata in grave crisi di risultati, situazioni spiacevoli dalle quali si è risollevata con cambiamenti tecnici ed organizzativi.
Questo dovrebbe essere il modello della Williams “dopo Williams”, perché forse la figlia di Frank non ha la personalità e le capacità per gestire un team simile. Un cambio decisamente necessario, perché tutta la F1 ha bisogno di “icone” come Ferrari, McLaren, Williams, che facciano da ponte identitario tra gli anni ormai “classici” e la nuova gestione “made in USA”: perdere questa triade avrebbe l’effetto di spersonalizzare la specialità, con team che vanno e vengono a seconda degli umori dei consigli di amministrazione, solitamente poco propensi a farsi carico dei periodi di difficoltà.
Il grosso della celebre storia di questa scuderia inglese è stata prerogativa del “vecchio” Frank, tenace per carattere ed evidentemente molto capace come Team Principal. Al suo fianco Patrick Head ha inaugurato il periodo d’oro del team, dal 1979 in avanti, ricco di vittorie e di titoli. Nel mezzo, la Williams si è talvolta ritrovata in bruttissime acque: gli esordi sono stati stentati, a voler essere generosi, ed anche in seguito l’abbandono della Honda, la morte di Senna, il ritiro di Renault, hanno portato ad annate infelici. Fino alla eterna promessa Williams motorizzata BMW di inizio anni 2000.
Un matrimonio terminato nel 2005 che ha aperto il periodo più nero per la squadra, illuminato dal solo successo di Maldonado in Spagna nel 2012. La crisi si acuisce con il passaggio del testimone alla figlia di Frank, Claire, che tenta la carta dei piloti con la valigia, Stroll prima, Sirotkin poi. Nel 2019, perso lo sponsor Martini ed i soldi della famiglia Stroll, si decide di ricorrere al rientrante Kubica, la cui storia di ritorno alla F1 è mediaticamente significativa, affiancato dal debuttante Russell. I risultati sono disastrosi, il cronometro sentenzia che la FW42 è improponibile, abbonata al fondo della griglia.
L’impressione è che la Williams sia vicina a raggiungere vecchie glorie della F1, scomparse in modo anonimo o imbarazzante, come Tyrrell, Brabham, Lotus, Arrows. C’è però un'alternativa, ossia emulare un’altra “vecchia” gloria, la McLaren, che per due volte nella sua storia si è trovata in grave crisi di risultati, situazioni spiacevoli dalle quali si è risollevata con cambiamenti tecnici ed organizzativi.
Questo dovrebbe essere il modello della Williams “dopo Williams”, perché forse la figlia di Frank non ha la personalità e le capacità per gestire un team simile. Un cambio decisamente necessario, perché tutta la F1 ha bisogno di “icone” come Ferrari, McLaren, Williams, che facciano da ponte identitario tra gli anni ormai “classici” e la nuova gestione “made in USA”: perdere questa triade avrebbe l’effetto di spersonalizzare la specialità, con team che vanno e vengono a seconda degli umori dei consigli di amministrazione, solitamente poco propensi a farsi carico dei periodi di difficoltà.
"Biancaneve sconfitta"
"Specchio, specchio delle mie brame, dimmi: chi è la più brutta della F1? Tu, Williams, sei diventata la più brutta ed inadeguata del Circus." Questa sembrerebbe la trasposizione fiabesca dell'istantanea corrente di una storia iniziata da Didcot, continuata a Grove, dal sapore leggendario. Di una scuderia, la terza di tutti i tempi della F1, per risultati e longevità, la creatura di Frank Williams, partita in un'epoca permissiva, dei "Garagisti", finita in una dimensione paradossale.
I "Garagisti", una specie nobilissima, il polo maggioritario di opposizione al "Costruttore", la Ferrari. Team capaci di scindere la monoposto da F1 in intero corpo vettura e propulsore, in farina del proprio sacco e farina del sacco altrui. Una concezione motoristica più sempliciotta nelle apparenze, particolarmente complicata per la ricerca dell'equilibrio perfetto utile al raggiungimento dell'assoluta competitività del mezzo. Una sfida di enorme ingegno, sinergica, a dispetto di un immaginario gioco da garage da corsa.
Una realtà violentata dall'occulta "satellizzazione", una distorta dinamica che ha relegato su orbite gravitazionali secondarie questi team old style del nuovo millennio, compresi i nomi grossi di McLaren e Williams. "Colpa" dei Costruttori, dispotiche entità potentissime, presenti a mo' di elite del Circus F1, sotto mentite spoglie di un potere oligarchico insovvertibile. Team ufficiali e fornitori esclusivi di unità propulsive per il resto del gruppo, semplici comparse sbiadite sull'orizzonte di questa apoteosi da sudditanza.
Colpa di un regolamento "power unit" assetato di investimenti, perverso per le esigenze del futuro mercato automobilistico, all'origine obsoleto per il travaso nella produzione di serie. Un fallimento in appeal per l'ingresso di nuovi fornitori esterni, pure essenze storiche di un tempo che non c'è più, per gli ipotetici, moderni "Indipendentisti", ridotti ad un osso di nome Red Bull Honda. E la Williams non è indipendente, da quando ha scelto di scendere a patti con il suo di diavolo, il Costruttore che di nome fa Mercedes.
Solo una delle tante vittime della Hybrid F1, uno dei tanti laboratori viaggianti. "Sottufficiali" al sommo servizio degli "Ufficiali". Lì a completare le fila, a eseguire gli ordini, a sacrificare la propria leggenda. In uno status di assoluta, disonorevole subordinazione, di chance per un blasone come quello Williams, di riconquista della dignità venduta, ce n'è solo una. La scelta più coraggiosa che una Biancaneve sconfitta possa perseguire: l'uscita perentoria dalle scene. Un dolore pesantissimo, dovuto, nella fattispecie per questa malata era della F1.
I "Garagisti", una specie nobilissima, il polo maggioritario di opposizione al "Costruttore", la Ferrari. Team capaci di scindere la monoposto da F1 in intero corpo vettura e propulsore, in farina del proprio sacco e farina del sacco altrui. Una concezione motoristica più sempliciotta nelle apparenze, particolarmente complicata per la ricerca dell'equilibrio perfetto utile al raggiungimento dell'assoluta competitività del mezzo. Una sfida di enorme ingegno, sinergica, a dispetto di un immaginario gioco da garage da corsa.
Una realtà violentata dall'occulta "satellizzazione", una distorta dinamica che ha relegato su orbite gravitazionali secondarie questi team old style del nuovo millennio, compresi i nomi grossi di McLaren e Williams. "Colpa" dei Costruttori, dispotiche entità potentissime, presenti a mo' di elite del Circus F1, sotto mentite spoglie di un potere oligarchico insovvertibile. Team ufficiali e fornitori esclusivi di unità propulsive per il resto del gruppo, semplici comparse sbiadite sull'orizzonte di questa apoteosi da sudditanza.
Colpa di un regolamento "power unit" assetato di investimenti, perverso per le esigenze del futuro mercato automobilistico, all'origine obsoleto per il travaso nella produzione di serie. Un fallimento in appeal per l'ingresso di nuovi fornitori esterni, pure essenze storiche di un tempo che non c'è più, per gli ipotetici, moderni "Indipendentisti", ridotti ad un osso di nome Red Bull Honda. E la Williams non è indipendente, da quando ha scelto di scendere a patti con il suo di diavolo, il Costruttore che di nome fa Mercedes.
Solo una delle tante vittime della Hybrid F1, uno dei tanti laboratori viaggianti. "Sottufficiali" al sommo servizio degli "Ufficiali". Lì a completare le fila, a eseguire gli ordini, a sacrificare la propria leggenda. In uno status di assoluta, disonorevole subordinazione, di chance per un blasone come quello Williams, di riconquista della dignità venduta, ce n'è solo una. La scelta più coraggiosa che una Biancaneve sconfitta possa perseguire: l'uscita perentoria dalle scene. Un dolore pesantissimo, dovuto, nella fattispecie per questa malata era della F1.