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2 ottobre 2019

“Il lupo e Cappuccetto Rosso”
Formula 1 I meriti di Toto Wolff


toto wolff mercedes amg f1 random f1 redf1gp| F1, Toto Wolff, Mercedes AMG F1 - FOTO BY GettyImages |
In pochi sanno che, nella favola originale, Cappuccetto Rosso non si salva affatto ma rimane nello stomaco del lupo. Nella realtà della F1 contemporanea accade la stessa cosa: Wolff e la sua armata sembrano imbattibili, nonostante gli sforzi della “piccola” di Maranello, eroina fagocitata in un duello che, fino ad oggi, ha messo in risalto il genio manageriale di Toto.


La figura del dominatore è complessa da comprendere e difficile da digerire. Nel periodo del cannibalismo Ferrari, Jean Todt è stato tanto temuto e rispettato quanto odiato. Oggi è il turno di Toto: symbol man di una Mercedes che si appresta a portare a Stoccarda entrambi i titoli mondiali per il sesto anno consecutivo. Un trionfo dai meriti senza dubbio tecnici e di pilotaggio ma che non si può non collegare alla feroce gestione di un uomo che, tra le grida di odio e le manifestazioni di stima che riceve ogni giorno, è divenuto il punto di riferimento per i team principal in F1.

Eppure, di problemacci interni, Wolff ne ha vissuti eccome, in particolare durante la convivenza tra Rosberg e Hamilton: una roba difficile da gestire anche con una notevole supremazia tecnica. Affiancato dal connazionale Niki Lauda, il manager austriaco ha saputo portare avanti con fermezza e stacanovismo un obiettivo principale, un valore supremo, uno di quei concetti che vengono prima di qualsiasi altra cosa: la squadra.

Come nel dominio di Maranello all’inizio del ventunesimo secolo, il team principal ha il diritto e il dovere di spodestare ambizioni personali in nome del risultato. È il machiavellismo sportivo portato all’estremo: il sacrificio in nome di un contratto. Ma i soldi non bastano, se si pensa alla fatica dei piloti che tentano di farsi strada in F1; ai soldi a cui rinunciano. A quelli che, invece, sborsano per portare avanti carriere difficili, condizionate da annose questioni economiche. Serve altro, qualcosa di più grande: un simbolo intramontabile, un’idea più elevata.

La parte più complessa, forse, consiste nel riuscire a mantenere la motivazione su livelli accettabili anche quando il sacrificio richiede una rinuncia precisa e personale, un ridimensionamento dei propri desideri. Per la Ferrari fu il sorriso sornione di Jean Todt a “tranquillizzare” i fuochi occasionali di Barrichello in nome dello strapotere del Kaiser; oggi è lo sguardo glaciale di Toto che sa placare, gelare, smontare e rimontare le individualità e i tentativi di insurrezione di quel Valtteri Bottas incostante, a volte fortissimo ma inevitabilmente posizionato, nella gerarchia interna, un gradino sotto a Lewis Hamilton.

La ferocia di Toto e il suo professionalismo fanno ancora più impressione se si considera l’uomo fuori dai circuiti: ironico, cordiale, persino emotivo in mondovisione. È un ex pilota, d’altronde; uno che ha preferito fermarsi nel momento in cui si è reso conto di non avere un talento sopra la media da mettere in scena. Un’umiltà ben mascherata dietro il volto dello spietato austriaco; una dote che, probabilmente, è la base segreta del suo successo.

Claudio Santoro.

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