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5 ottobre 2020

“Sayonara, Honda!”
Formula 1 Amore che vieni, amore che vai


honda F1 mclaren redf1gp| F1, Honda, McLaren - FOTO BY Pinterest |
La storia del ritorno in F1 della Honda inizia male, malissimo, con l’incidente del 22 febbraio 2015 al Montmelò: misteri, voci maligne, perplessità. Le premesse per una nuova epopea c’erano tutte: una McLaren MP4-30 di nuovo motorizzata Honda, come negli anni scolpiti nella storia di Ayrton Senna e Alain Prost; un bicampione del mondo come Fernando Alonso, desideroso più che mai di un riscatto dopo anni rossi di fuoco e infine grigi di cenere al termine di un amore difficile consumato in Ferrari.



Premesse e promesse che si trasformano ben presto in rabbia, frustrazione, delusione; una tristezza profonda che non manca mai di palesarsi con la voce proprio di Alonso, che credeva di aver sistemato un guaio – quello combinato nel 2007: la fuga da un McLaren Mercedes competitiva ma “occupata” dal talento del nuovo arrivato Lewis – tornando proprio a Woking, in risposta alle criticità umane e sportive dai picchi altissimi, vertiginosi, toccati a Maranello. Niente di più sbagliato.

Neppure le parole di Ron Dennis, le ultime dello storico team principal che hanno contato qualcosa in McLaren, sono riuscite a risolvere una questione nata male e proseguita peggio: torneremo a vincere, a dominare. Belle parole, da scolpire anch’esse nella storia, sì, ma dei fallimenti, dei sogni infranti, delle ambizioni più umane, tra le passioni sconfitte. A distanza di cinque anni la McLaren ha ritrovato la sua pace prima in Renault e poi in Mercedes.

La Honda ha trovato casa in Red Bull e in Toro Rosso, conquistando successi di contrabbando a opera di quel fenomeno olandese che è Max Verstappen, più la chicca di Pierre Gasly, AlphaTauri, circuito di Monza: roba d’altri tempi per una storia che, forse, in altri tempi sarebbe sì, potuta sbocciare, ma che nella F1 di oggi, proprio no, neanche a parlarne.

Nonostante i passi in avanti giganteschi, rispetto ai preamboli in McLaren; nonostante il livello naturale e sopportabile delle recenti scaramucce fra Verstappen e Honda, roba “normale”, bollata dai più come una componente del carattere di Mad Max e non, come invece si è dimostrata, la porta spalancata con tanto di red carpet per l’addio di un marchio prestigioso.

Honda non farà più parte della F1. Ha vinto tanto in passato: ha costruito macchine, ha portato alla ribalta motori a volte vincenti, a volte no, mai comunque banale nelle sue apparizioni, nel suo stile, nei piloti che l’hanno rappresentata e nelle polemiche che si riservano, si sa, ai nomi più importanti, quelli che in F1 si contano sulle dita di una mano sempre più mozzata da regolamenti restringenti che, come tenaglie, tranciano i sogni più belli.

Se ne va ufficialmente il Giappone, assente dal circus anche per quanto riguarda i piloti. Una F1 che guarda all’America, nonostante l’incarico di CEO affidato a Stefano Domenicali; nonostante il desiderio di rivedere finalmente una “formula madre” del motorsport in grado di ispirarsi alla tradizione europea. Non c’è scampo, forse.

Questa è la storia, servita su un vassoio sempre più povero di leccornie, con un conto salato per gli abbonamenti e un menù scritto male. Un requiem per una F1 che è sempre stata uno sport di élite ma che rischia seriamente di trasformarsi in qualcosa di, banalmente, poco interessante.

Claudio Santoro.

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