I contendenti di questa combattutissima stagione di F1 2017 hanno oscurato il podio inedito nel primo GP di Azerbaijan della storia. Un Ricciardo, un Bottas, ed uno Stroll, che sono stati graziati dalle schermaglie, e non, tra i duellanti, impossibilitati a salire sul palco a far sperperio di champagne.
Una guerra smascherata nelle intenzioni, nelle tattiche. Approcci divergenti che sanciscono, al momento, la forza dell'uno e la debolezza dell'altro.
Fattori, aspetti, umani e caratteriali differenti, che potrebbero rivestire un ruolo importante nei destini finali. Episodi, strettamente dipendenti, come quelli accaduti a Baku, che potrebbero anche risultare determinanti.
Hamilton è forte perché in qualifica riesce ad essere più costante di Vettel. Guai, però, a non fare la tara con le qualità della sua monoposto che, dagli albori dell'era turbo-ibrida, è pressoché imbattibile sul giro da qualifica, numeri alla mano.
Hamilton è debole perché, soprattutto in gara, sembra soffrire il 4 volte Campione del Mondo. In affanno spesso nel tenere il ritmo gara imposto dal Tedesco, costretto a viaggiare ad un limite in pista che, al momento, forse fatica a digerire.
Non si concentra sul guizzo in più, dove la vettura appare in difficoltà talvolta è sprofondato. Di contro, quando è tutto dalla sua, non si accontenta di vincere, vuole stravincere. Ad occasione palesata, stende la sua ragnatela, una trappola disonesta e sleale nelle intenzioni. Un modus operandi di precisione ingannevole disarmante, equivoco per natura di giudizio. Una tecnica caratteristica di Lewis, memori tutti della condotta ostruzionistica premeditata in quei di Abu Dhabi 2016, quando decise di non voler perdere con onore.
Atti che lo fanno apparire tutt'altro che scaltro ed astuto, semmai alquanto miserabile ed infido.
Nel confronto diretto ha una fottuta paura di perdere. Preferisce chiedere che a Bottas venga ordinato di fare il lavoro sporco. Ha spesso il vizio di demandare ad altri il proprio destino, l'esito dei suoi insuccessi. Sempre vittima di angherie e soprusi nei corpo a corpo, a quanto pare, nulla a che vedere con le sue condotte ruota a ruota contro Rosberg, e altre varie ed eventuali, come Hockenheim 2014.
Lewis forse va in crisi quando trova un rivale capace, e più preparato, nel gestire una soglia di pressione superiore. Componente, questa, fondamentale, che lo proietta in uno status psichico di ansia, anche di prestazione, e mancanza di fiducia nei propri mezzi. Una giustificazione che perderebbe qualsiasi fondamento qualora fosse pienamente capace di intendere e di volere a riguardo. Ebbene si. Gli effetti sono le manifestazioni subdole in vettura odierne e passate, sono le sempre infelici dichiarazioni.
Detto ciò, non stupirebbe un Hamilton debole in qualifica qualora la Pole valesse, ad esempio, 10 punti mondiali.
Seb è debole perché in qualifica sembra un po' arrugginito rispetto a quando era in Red Bull. Idem come per l'Inglese, le sue iridate monoposto erano simil Mercedes sul giro secco.
Seb è forte perché in gara si concentra nel tirare fuori il massimo possibile dalla vettura. Ci mette sempre del suo, anche quando non ce n'è per nessuno. Non spreca energie mentali nell'inventarsi pseudo-furbate, in pieno stile Hamilton, per stravincere un GP. Voler umiliare è sinonimo di insicurezza, a questo Vettel risponde anteponendo la fiducia in se stesso a tutto e tutti.
Accetta che qualcuno, qualche volta, mostri di averne di più, riconoscendo con puntuale onestà intellettuale i meriti altrui. Taglia corto, guarda immediatamente alla sfida successiva, rifiuta il rimuginio ossessivo compulsivo.
Per questo, non ha paura di perdere, visto che solitamente, anche in una eventuale sconfitta, non patisce recriminazioni di sorta. Per gli stessi motivi, fa da Starter ippico a sbarre spiegate su arrembanti figure di secondo piano che, anche quando invitate a nozze dai giochetti del Nero, tentano l'assalto di posizioni e punti ai suoi danni.
Seb non sventola mai bandiera bianca in situazioni critiche, rimanendo concentrato tra se stesso e la vettura, ergendosi a figura di finalizzatore infallibile. Dando l'impressione di essere, altrettanto, invulnerabile.
La priorità è la semplice vittoria in gara, sempre, l'unico obiettivo sul quale costruire la sua condotta, il suo cammino verso l'iride in Rosso. Il tutto condito da esasperata dedizione, duro lavoro, relegando a secondaria conseguenza un occasionale strapotere in pista.
Su ogni trattato scientifico, l'idealità è una ipotesi di riferimento, volendo una assurda condizione non contemplabile dalla realtà. Tanto quanto l'uomo, un essere reale lontanissimo dall'essere ideale. Tanto quanto ritrovato, sorprendentemente, nella punta Ferrari a Baku, in occasione dell'episodio ruotata. Un concetto assoluto della realtà umana che è una consuetudine, acclarata da tempo, dello spodestato Re Nero.
Arrivati a tal punto, la domanda sorge spontanea: Chi vincerà questo Mondiale 2017?
Colui che tra Vettel ed Hamilton farà prevalere il proprio di pilota sul proprio di uomo, SF70H e W08 permettendo. Il resto, l'oltre la pista è noia, fuffa, titoli da giornale. Esternazioni compulsive di figure e sistemi in crisi di popolarità, vista la rilevanza meravigliosa assunta dal Duello del decennio.
Gianluca Langella.
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