ORARI TV
SKYSPORTF1HD
Giovedi 20 Maggio

Libere 1 Ore 11:30 - Libere 2 Ore 15:00
Sabato 22 Maggio
Libere 3 Ore 12:00 - Qualifiche Ore 15:00
Domenica 23 Maggio
Gara Ore 15:00

DATI CIRCUITO
umero di giri 78
Lunghezza circuito 3.337 km
Distanza di gara 260.286 km
Giro record 1:14.260
Max Verstappen (2018)
ALBO D'ORO PILOTI
VITTORIE
Schumacher, Hamilton 6
Prost, Mansell, Hakkinen 3
Senna, Räikkönen, Alonso 2
Vettel, Verstappen 1
Button, Rosberg 1

POLE POSITION
Schumacher 7
Hamilton 6
Senna 4
Häkkinen, Räikkönen, Rosberg 2
Mansell, Prost, Alonso 1
ALBO D'ORO COSTRUTTORI
VITTORIE
Ferrari 12
McLaren 8
Williams, Mercedes 7
Lotus 6
Red Bull 3
Renault 1

POLE POSITION
Ferrari 13
Mercedes 9
McLaren 8
Williams 6
Lotus 5
Red Bull 2
Renault 1

“40+ years”
Formula X+1 La Indy 500 targata Takuma Sato


indy 500 2020 takuma sato redf1gp| Indy 500, Takuma Sato - FOTO BY @TakumaSatoRacer|
Quando si parla di Formula 1 e dei piloti dei suoi piloti del futuro non se ne può fare a meno: l'età è considerata un fattore chiave e chiunque abbia superato i 35, o addirittura solo i 30, a meno di non essere un fuoriclasse, viene presto tacciato di essere un pilota destinato al ritiro. Non succede sempre così, ovunque nel mondo, ma ci sono universi quasi "sempreverdi" tipo Indy 500, in cui vige il meglio tardi che mai, come ha cercato di spiegarci una nostra vecchia conoscenza: Takuma Sato.



S
embrano passati secoli da quando il piccolo giapponese errante faceva parlare di sé nella classe regina, generalmente non troppo in positivo. Talvolta preso in giro per la sua guida estrosa, al giorno d'oggi viene spesso paragonato dagli appassionati di F1 ad altri esempi di piloti poco tranquilli, sia del passato come Andrea De Cesaris, sia di un quasi-presente come Pastor Maldonado. Il nipponico, tuttavia, ha una marcia in più: ha trovato la sua vera strada, per la seconda volta in carriera.

Dopo le sue discusse militanze in Jordan e BAR, dove nel 2004 venne anche acclamato per certe prestazioni di spessore (compreso un podio al GP degli Stati Uniti) cadde in disgrazia durante un disastroso 2005. Seppe ricostruirsi un'immagine positiva nelle retrovie, alla Super Aguri, riuscendo a portare nel 2007 due volte la piccola scuderia a punti, una delle quali con un sorpasso in corso d'opera su Fernando Alonso, all'epoca campione del mondo in carica su una McLaren che lottava per il titolo.
Purtroppo tutti i sogni finiscono e il fallimento della squadra di Aguri Suzuki era stato fatale al ritrovato Taku: rimasto senza volante, era stato in lizza per un sedile alla Toro Rosso nella stagione seguente e aveva fatto il "provino" per la squadra faentina, per poi essere messo da parte con la line-up Buemi/Bourdais. A quel punto non restava altro da fare se non guardarsi intorno e cercare un futuro altrove... ed ecco che, quasi per caso, il nostro eroe aveva trovato la propria vocazione.

Il campionato di Indycar, all'inizio, sembrava una scelta provvisoria, una sistemazione non duratura. Si narra infatti che per lunghi anni Sato abbia continuato a vivere in Europa come ai tempi della Formula 1 e che soltanto di recente si sia definitivamente trasferito negli Stati Uniti. Lì dove ha gareggiato ininterrottamente negli ultimi dieci anni, diventando un pilota amato e rispettato, diversamente da quando correva in Formula 1.

Per evitare fraintendimenti, è bene specificare che Takuma Sato versione Indycar, di per sé, non è tanto diverso da quello che abbiamo avuto sotto gli occhi negli anni '00. Non ha avuto una maturazione improvvisa, non ha messo la testa a posto... ha solo imboccato la via giusta: un campionato in cui uno stile di guida come il suo non è considerato inadeguato, dove la propensione all'errore non è demonizzata (a meno di non causare incidenti gravi) e risolta con un licenziamento di fine stagione.
In più, negli States esistono eventi singoli considerati unici: la Indy 500 è la corsa delle corse, da sola più prestigiosa del titolo Indycar stesso. E a Indianapolis, nel 2012, il pilota giapponese è andato molto vicino a quell'obiettivo, salvo mandare tutto in fumo a modo suo: un incidente a un giro dalla fine, mentre stava strappando la leadership al pluricampione Dario Franchitti. Un fallimento? Sì, enorme, ma ha avuto una seconda chance, quando ormai non era più scontato.

Primo asiatico a vincere la Indy 500 nel 2017, anno della prima partecipazione di Fernando Alonso e del conseguente clamore mediatico, aveva quarant'anni suonati ai tempi e secondo gli standard europei avrebbe dovuto essere già da un po' un "vecchio pensionato pronto per il ritiro". Ironia della sorte, quella del 2017 era solo la prima consacrazione del non più giovanissimo samurai: si è ripetuto nella "sua" Indianapolis tre anni dopo, età 43 anni, sicuramente non sentiti.

Non solo ha vinto di nuovo, ma stavolta l'ha fatto con il team Rahal Letterman, quello con cui aveva buttato via tutto all'ultimo giro nel 2012 e a cui è tornato da alcuni anni dopo una breve parentesi (quella vincente) con Andretti. Viene da pensare che nessun pilota sia davvero troppo vecchio, almeno finché non si sente tale. O finché la sua età non gli viene fatta pesare, e senz'altro nessuno Oltreoceano ha mai fatto pesare a Sato il fatto di avere già superato i quaranta.

Milly Sunshine.

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