Marina Bay. Al centro del palco di questa Singapore prenotata da altri protagonisti, Sebastian Vettel mette in scena la propria, perentoria liturgia del successo. È il trionfo numero 53 per un campione che sembrava annichilito dal nuovo che avanza, da un “predestinato” esaltato da colleghi e media. Ma la classe, la passione, la freddezza di un tetracampione del mondo non sono qualità che si perdono per strada: bisognava solo ritrovarle.
La liturgia, in un testo del missionologo Paolo Giglioni, è «il servizio pubblico, liberamente assunto, in favore del popolo»; una manifestazione del culto e della “missione” in quella relazione profonda tra uomo e divinità, cultore e culto, adoratore e adorato. In una visione “divina” dello sport motoristico per eccellenza, questa Formula 1 amatissima e odiatissima, il tedesco numero cinque della Ferrari ha messo in onda, a Singapore, il suo personalissimo culto della vittoria. Un culto al servizio della sua “lethal weapon”.
Il “rituale messianico” di Sebastian Vettel ha inizio il venerdì con la manifestazione di una dote rara e notevole: la discrezione. Non una dichiarazione eclatante ai microfoni, nessuna ambizione dichiarata, al bando le provocazioni e i giochi psicologici, affascinanti senz’altro ma inutili rispetto al contenuto del culto: il risultato, uno in particolare, quello capace di imprimersi nel cuore proprio e del tifoso; nella storia; in classifica. La lethal weapon resta celata da un drappo rosso. Non è ancora l’ora del giudizio.
Ma il sabato è una faccenda diversa, i contorni delle intenzioni divine si illuminano. Nonostante le sue 56 partenze dal palo, Sebastian non ha mai mostrato una particolare passione per la pole position, prediligendo piuttosto i colpi di scena della domenica. A Marina Bay, la pole gli sfugge dalle dita all’ultimo tentativo, complici quei due giri bestiali di Hamilton e Leclerc; non a caso, il primo è il re delle qualifiche e il secondo inizia a manifestare un certo appetito in questa affascinante disciplina.
La domenica è l’essenza del rituale; è la “giornata teogonica”, località ideale nel tempo e nello spazio per la nascita della divinità. La SF90 aggiornata è il paramento liturgico ideale per l’avvento del tedesco. Gli occhi carichi d’una rabbia sopraffina, enigmatica, intensissima, sono l’unico spioncino rivolto alla vera personalità vetteliana: animalesca nella sua natura, paradossale nella percezione, preziosa in ogni senso per questo sport.
Sull’altare di un mondiale esauritosi troppo presto, si alzano i cori di quella dottrina “ritmologica” capace di annientare, al di là di ogni ragionevole prudenza, le ambizioni dei rivali. A Singapore si erge il suono della campana, quel din don velocistico che scaccia via lo scetticismo degli empi e quella croce di cui il tetracampione di Happenheim si è fatto portatore da quell’errore infame in patria nel 2018.
La domenica è l’essenza del rituale; è la “giornata teogonica”, località ideale nel tempo e nello spazio per la nascita della divinità. La SF90 aggiornata è il paramento liturgico ideale per l’avvento del tedesco. Gli occhi carichi d’una rabbia sopraffina, enigmatica, intensissima, sono l’unico spioncino rivolto alla vera personalità vetteliana: animalesca nella sua natura, paradossale nella percezione, preziosa in ogni senso per questo sport.
Sull’altare di un mondiale esauritosi troppo presto, si alzano i cori di quella dottrina “ritmologica” capace di annientare, al di là di ogni ragionevole prudenza, le ambizioni dei rivali. A Singapore si erge il suono della campana, quel din don velocistico che scaccia via lo scetticismo degli empi e quella croce di cui il tetracampione di Happenheim si è fatto portatore da quell’errore infame in patria nel 2018.
È l’arma letale di Sebastian: l’istante in cui il tedesco ingaggia il suo personalissimo duello contro se stesso. A volte il rituale prevede un corpo a corpo durissimo da cui raramente esce sconfitto – tanto che si ne contano sulle dita di una mano simili imprevisti insuccessi – altre volte è il miracolo che si trasfigura nelle sembianze di una fuga incontrollabile, avvilente per gli avversari.
Sono i fumi d’incenso respirati da Leclerc, giovane profeta richiamato all’umiltà dal patrono affermato, su una Ferrari beatamente in crescita: il monegasco ha visto Vettel fuggire dopo la prima sosta e poi ad ogni ripartenza della safety car. È Il colpo di grazia inferto dalla folgore del successo vetteliano, quello che adesso conta 52 repliche dopo la danza della pioggia brianzola del 2008.
Sono i fumi d’incenso respirati da Leclerc, giovane profeta richiamato all’umiltà dal patrono affermato, su una Ferrari beatamente in crescita: il monegasco ha visto Vettel fuggire dopo la prima sosta e poi ad ogni ripartenza della safety car. È Il colpo di grazia inferto dalla folgore del successo vetteliano, quello che adesso conta 52 repliche dopo la danza della pioggia brianzola del 2008.
Ma si sa, la fede è una questione complessa. Le apparizioni non bastano; i miracoli vengono messi in discussione da uno scetticismo che è la dannazione del popolo ferrarista. L’eco delle campane riecheggia sul podio mentre si valuta, si soppesa, si tenta di razionalizzare un futuro ancora incerto per Maranello, ravvivato dalla rivelazione di un destino comune, quello del “sacerdote vetteliano” e del “seminarista predestinato”.