La terra del Re di Francia, Alain Prost, anche in parte quella del Leone di Inghilterra, Nigel Mansell. Loro due, grassi vincitori in terra d'Oltralpe, dal '81 al '93, nonostante tre incursioni targate Arnoux, Lauda, Piquet. Prima che arrivasse un certo futuro reggente. Fu lotta tra il baffone inglese ed il ricciotto di Lorette, Ferrari contro Williams, con la FW14 vittoriosa sulla 643 F1.
N
evers Magny-Cours 1991. Ebbene si, fu la prima sulla bellissima pista sorta nel Nièvre in Borgogna, in piena campagna francese, composta da sezioni di altri tracciati storici. Estoril, Adelaide, Imola, tanto odiata da Flavio Briatore, perché in quella campagna non trovava che coltivazioni, allevamenti di bestiame, nemmeno una struttura ricettiva degna di ospitare la prestigiosa carovana della Formula 1.
Eppure, la prima volta non si scorda mai, in un tempo in cui certe esigenze mondane rasentavano relativa importanza nel Circus. Quello che contava era la pista, le vetture, i piloti, il risultante intrattenimento circoscritto all'interno dei confini del circuito. Lì dove i Re di Francia del periodo si scontrarono in un sommo duello intinto di molteplici significati, legato anche ad un singolare repertorio di guida.
Eppure, la prima volta non si scorda mai, in un tempo in cui certe esigenze mondane rasentavano relativa importanza nel Circus. Quello che contava era la pista, le vetture, i piloti, il risultante intrattenimento circoscritto all'interno dei confini del circuito. Lì dove i Re di Francia del periodo si scontrarono in un sommo duello intinto di molteplici significati, legato anche ad un singolare repertorio di guida.
Incroci di volanti, come quello che vide Nigel Mansell finire in Ferrari nella stagione '89, nella promettente scuderia di fine/inizio ultima decade del millennio scorso. Uno dei cavalieri scelti per riportare in alto Maranello, per una stagione incoraggiante che trascinò forti speranze per quella successiva. Quella in cui la rossa avrebbe potuto contare sul dream team Prost-Mansell.
Salvo il precoce naufragar nei rapporti con l'inglese prima del termine di quel campionato controfirmato Ayrton Senna da Silva, la vendetta. Tanto per riaccasarsi a Didcot, all'armata Williams, già guidata e vista iridata non per mano sua, bensì per quella di Nelson Piquet. Il pazzesco Mansell, l'unico dei grandissimi di quella florida era di campioni ancora a secco di glorie da titolo.
O con quella Williams d'inizio anni '90, o mai più. Un out-out per il nativo di Upton-upon-Severn, alla caccia convulsa della sua prima corona iridata, di quella coppa delle coppe altrettanto degna di finire anche nella sua bacheca di trofei. Nulla e nessuno l'avrebbe costretto ad alzare bandiera bianca, a rinunciare all'incisione della sua firma laser sul metallico albo d'oro, al netto delle noie affidabilistiche e non di quella velocissma FW14.
A Magny-Cours fu Riccardo Patrese a svolgere un altro mestiere in qualifica, un altro potenziale dannato compagno di squadra lì in quel di Didcot. In gara furono Nigel e Alain a condurre la battaglia, per una sfida a due di enorme intensità, come si suol dire "a suon di giri veloci", di qualche rimonta di troppo lato Inghilterra. Un confronto dal sapore di 1990 quando, entrambi con quella 641 F1, fu il francese ad averne ragione nel box di Maranello.
Questione di orgoglio, più forte di quel destino avverso, comunissima fame da successo anche sulla singola tappa. E per una Ferrari solida e costante al comando, un diavolo a quattro di Williams a mo' di su e giù da montagne russe. Tanto per far rivivere lo spettacolare exploit di Hungaroring '89, il sorpasso col doppiaggio, subito da Ayrton Senna con la McLaren MP4/5.
Salvo il precoce naufragar nei rapporti con l'inglese prima del termine di quel campionato controfirmato Ayrton Senna da Silva, la vendetta. Tanto per riaccasarsi a Didcot, all'armata Williams, già guidata e vista iridata non per mano sua, bensì per quella di Nelson Piquet. Il pazzesco Mansell, l'unico dei grandissimi di quella florida era di campioni ancora a secco di glorie da titolo.
O con quella Williams d'inizio anni '90, o mai più. Un out-out per il nativo di Upton-upon-Severn, alla caccia convulsa della sua prima corona iridata, di quella coppa delle coppe altrettanto degna di finire anche nella sua bacheca di trofei. Nulla e nessuno l'avrebbe costretto ad alzare bandiera bianca, a rinunciare all'incisione della sua firma laser sul metallico albo d'oro, al netto delle noie affidabilistiche e non di quella velocissma FW14.
A Magny-Cours fu Riccardo Patrese a svolgere un altro mestiere in qualifica, un altro potenziale dannato compagno di squadra lì in quel di Didcot. In gara furono Nigel e Alain a condurre la battaglia, per una sfida a due di enorme intensità, come si suol dire "a suon di giri veloci", di qualche rimonta di troppo lato Inghilterra. Un confronto dal sapore di 1990 quando, entrambi con quella 641 F1, fu il francese ad averne ragione nel box di Maranello.
Questione di orgoglio, più forte di quel destino avverso, comunissima fame da successo anche sulla singola tappa. E per una Ferrari solida e costante al comando, un diavolo a quattro di Williams a mo' di su e giù da montagne russe. Tanto per far rivivere lo spettacolare exploit di Hungaroring '89, il sorpasso col doppiaggio, subito da Ayrton Senna con la McLaren MP4/5.
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Inflitto alla vuelta n.21 anche a Prost, in fondo al tornantino Adelaide, dinanzi i borgoñoni. Opera da repertorio di guida ascrivibile al "se è in giornata ti sorpasserà, anche sopra la testa, ma ti sorpasserà". Una sorta di oracolo del da Silva della Formula 1, avvalorabile da quella ingombrante, neutra variabile del terzo incomodo in traiettoria. Una nuova mossa "Mansell", sfasata temporalmente, letale ad entrambi i suoi carnefici iridati.
Roba da almanacco, da antipasto per la prima corsa condotta tra le incriminabili campagne francesi dal celeberrimo cunese. Per noie da pit-stop pronte a trasformarsi in beffa di turno a sgambettare, annullare quel prodigio d'Australia di Francia. Tanto per infiammare il Leone d'Inghilterra, per costringerlo ad una nuova rimonta da sigillare con un definitivo, verace overtake tête-à-tête.
Manovra più convenzionale, senza quella pennellata d'autore con la chicane mobile doppiato, di nuovo alla staccata di Adelaide, a ruota fumante, con forza bruta. Ne aveva di meno quella nuova 642 F1, fallimentare evoluzione della quasi iridata rossa '90, riconvertita nella sostanza, ricifrata al numero susseguente. Ne aveva molto di più quella FW14 seppure ancora acerba in affidabilità, preludio della rivisitata monoposto '92. Il tempo della formalità mondiale spettante a quella bestiaccia british di un pilota.
Ayrton rimase "fuori" da quella prima Magny-Cours, come sempre quando nelle lande della Marsigliese. Mai oltre il primo gradino basso di un podio, quanto, invece, di sfatato qualche gara prima in Brasile, dove dovette "inventarsi" una vittoria contro la macchina per tentare di cancellare la reggenza Prost nella sua di patria. Comunque in annata mondiale, venuta anche alla maniera del suo peggior nemico.
Gianluca Langella.
Follow @redf1gp
Roba da almanacco, da antipasto per la prima corsa condotta tra le incriminabili campagne francesi dal celeberrimo cunese. Per noie da pit-stop pronte a trasformarsi in beffa di turno a sgambettare, annullare quel prodigio d'Australia di Francia. Tanto per infiammare il Leone d'Inghilterra, per costringerlo ad una nuova rimonta da sigillare con un definitivo, verace overtake tête-à-tête.
Manovra più convenzionale, senza quella pennellata d'autore con la chicane mobile doppiato, di nuovo alla staccata di Adelaide, a ruota fumante, con forza bruta. Ne aveva di meno quella nuova 642 F1, fallimentare evoluzione della quasi iridata rossa '90, riconvertita nella sostanza, ricifrata al numero susseguente. Ne aveva molto di più quella FW14 seppure ancora acerba in affidabilità, preludio della rivisitata monoposto '92. Il tempo della formalità mondiale spettante a quella bestiaccia british di un pilota.
Ayrton rimase "fuori" da quella prima Magny-Cours, come sempre quando nelle lande della Marsigliese. Mai oltre il primo gradino basso di un podio, quanto, invece, di sfatato qualche gara prima in Brasile, dove dovette "inventarsi" una vittoria contro la macchina per tentare di cancellare la reggenza Prost nella sua di patria. Comunque in annata mondiale, venuta anche alla maniera del suo peggior nemico.
Gianluca Langella.
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