Spa-Francorchamps. A tuonare tra le Ardenne è l’inno tedesco: note ruggenti, assordanti, che soffocano il timido guaito di lampi e tuoni, presenti solo in quelle timide speranze di riformulare un dominio già scritto, già assorbito dalle pagine degli almanacchi, impresso nelle statistiche, rimarcato in Belgio dal team guidato da Toto Wolff e Lewis Hamilton. Una fanfara di lusso iniziata da una prima fila all black e un’atmosfera da parata. Un trionfo di belligeranza: olio e merletti, poca benzina sul fuoco ma una stella a tre punte che inasprisce la fiamma di un dominio storico.
La gara belga sembra, fin dal principio, una “spoglia” questione Mercedes, tanto da rendere protagonista, in telecronaca, il presunto malumore di Toto per il rinnovo contrattuale di Valtteri Bottas, “colpevole” di averlo scavalcato in fase di trattativa. Un sospetto da gossip, in un mondiale in cui lo strapotere teutonico è tale da indurre commentatori e appassionati a curiosare nei meandri contrattuali dei padroni di Stoccarda. Un rinnovo milionario per l’attuale vicecampione del mondo: una questione di merito. Ciò che salta all’occhio è l’aura particolarissima intorno a Wolff, non più (solo) quella del vincente team principal di fede tedesca.
Un passo indietro nel tempo, di quelli potenti. 1935. Nürburgring. Gran Premio di Germania, fulcro delle vicende sportive e politiche di quella che è l’antenata della F1. Non solo appassionati intorno alla pistola: si è scomodato addirittura il Führer per assistere al trionfo tedesco, quello di Mercedes e Auto Union, i baluardi del motorsport in Germania. Una vittoria annunciata, una caduta storica anticipatrice di quel che sarà l’esito del secondo conflitto mondiale. I tedeschi vengono battuti. Vince l’individuo, quel folle di Tazio Nuvolari, al volante dell’Alfa Romeo.
L’orgoglio tedesco va in frantumi. Il grande sconfitto è Rudolf Caracciola, pilota di punta della Daimler-Benz, uomo-chiave nei rapporti tra motorsport tedesco e regime, protagonista nella Formula Grand Prix degli anni Trenta e membro del Nationalsozialistisches Kraftfahrkorps, organizzazione passata alla storia con l’acronimo NSKK, realtà fondamentale nei trasporti durante i successivi anni di guerra.
È il 1954 quando la Mercedes decide di rispolverare dai libri di storia il suo istinto guerresco. Ed è qui che avviene il primo, indelebile passaggio da uno spirito precedentemente definito, monumentale e patriottico, all’approccio individualista personificato da Juan Manuel Fangio. La Mercedes-Benz W196 lascia poco più che briciole agli avversari. La Germania torna sul tetto del motorsport mondiale, ma con una differenza: l’uomo, il calcolatore – in questo caso l’uomo dei record proveniente da una provincia sudorientale di Buenos Aires – ruba la scena alla mitologia Mercedes.
È un processo irreversibile che cambia le carte in tavola e rivoluziona la storia. Una differenza sostanziale, riconoscibile nello “stile” del motorista Mercedes negli anni Novanta, che trascina la nuova McLaren firmata Adrian Newey. C’è da superare una storia ben più “emotiva” di quella di Caracciola: l’epopea latino-nipponica, gli anni del casco giallo di Senna e del portentoso motore Honda. Non è più la Mercedes del regime, né quella dei vivai “muscolosi” di inizio decennio che hanno accompagnato Schumacher, Frentzen e Wendlinger in F1. È un’altra storia simboleggiata dalla sornioneria inglese di Ron Dennis.
È il 1954 quando la Mercedes decide di rispolverare dai libri di storia il suo istinto guerresco. Ed è qui che avviene il primo, indelebile passaggio da uno spirito precedentemente definito, monumentale e patriottico, all’approccio individualista personificato da Juan Manuel Fangio. La Mercedes-Benz W196 lascia poco più che briciole agli avversari. La Germania torna sul tetto del motorsport mondiale, ma con una differenza: l’uomo, il calcolatore – in questo caso l’uomo dei record proveniente da una provincia sudorientale di Buenos Aires – ruba la scena alla mitologia Mercedes.
È un processo irreversibile che cambia le carte in tavola e rivoluziona la storia. Una differenza sostanziale, riconoscibile nello “stile” del motorista Mercedes negli anni Novanta, che trascina la nuova McLaren firmata Adrian Newey. C’è da superare una storia ben più “emotiva” di quella di Caracciola: l’epopea latino-nipponica, gli anni del casco giallo di Senna e del portentoso motore Honda. Non è più la Mercedes del regime, né quella dei vivai “muscolosi” di inizio decennio che hanno accompagnato Schumacher, Frentzen e Wendlinger in F1. È un’altra storia simboleggiata dalla sornioneria inglese di Ron Dennis.
Guarda anche...
Un “valore”, unico e inossidabile, resta però ancora a disposizione dell’osservatore: la necessità di dominare. Una dittatura motoristica d’altri tempi, che ricorda le mitologiche parate di epoche impronunciabili per il politically correct. La riproposizione di uno spettacolo antico in chiave moderna, la rivisitazione perfetta che parte nel 2010 da due personalità illustri, due “mostri” da palcoscenico motoristico: Ross Brawn e Michael Schumacher. Una progenie tecnicamente ancora acerba ma simbolicamente impeccabile, che lascia strada alla Hybrid Age e al copione di due nuovi attori, i veri Ritter di quest’epoca: Toto Wolff e Lewis Hamilton.
Del “vecchio ordine” non è rimasto quasi nulla. Toto è un ex pilota, è austriaco – come un altro uomo-chiave della nuova Mercedes, Niki Lauda – e non tedesco. Il suo pugno schiantato sui tavoli ricorda ancora, forse, quello di arcaici e impetuosi comandanti dal sangue bellico, ma c’è una novità: lo spirito del lupo imprenditoriale, la meccanica cerebrale dell’individuo solo al centro del mondo. Leonardesco e illuminista, erede di Bismarck, Toto Wolff introduce l’ultimo dei vessilli del nuovo assetto anglo-tedesco della Mercedes.
Del “vecchio ordine” non è rimasto quasi nulla. Toto è un ex pilota, è austriaco – come un altro uomo-chiave della nuova Mercedes, Niki Lauda – e non tedesco. Il suo pugno schiantato sui tavoli ricorda ancora, forse, quello di arcaici e impetuosi comandanti dal sangue bellico, ma c’è una novità: lo spirito del lupo imprenditoriale, la meccanica cerebrale dell’individuo solo al centro del mondo. Leonardesco e illuminista, erede di Bismarck, Toto Wolff introduce l’ultimo dei vessilli del nuovo assetto anglo-tedesco della Mercedes.
Lewis Hamilton, bombardiere di sangue caraibico e archetipo rivoluzionario di Stoccarda, riformatore illustre del Reich nel secolo XXI. L’individualismo ha soverchiato definitivamente il Sa vida pro sa patria, in favore di un No ducor, duco. Lo stile hip-hop, lo spirito della millennial generation e l’autoinvestitura nella lotta al razzismo lo collocano, da un punto di vista antropologico, a una distanza incalcolabile dal prototipo nazista di Caracciola, al termine di una storia motoristica lunga più di un secolo.