Città del Messico. I fantasmi della sconfitta balorda sono tornati a bussare alla porta di Hamilton: gomme impossibili da gestire, Red Bull che sembrano quelle dell’epoca d’oro, una Ferrari rinata, rinsavita, tremendamente veloce. Le paure di un’intera stagione per Lewis racchiuse in un unico appuntamento al cardiopalma. Alla fine, in ogni caso, onore al vincitore.
Nonostante i meriti dell’inglese e della sua squadra, una famigerata ruota può anche decidere di impazzire, e quel titolo che sembra ormai prossimo a essere assegnato, promesso in un certo senso, già marchiato dal nome del vincitore, può improvvisamente diventare sfuggente, viscido come una serpe inafferrabile.
Nel pazzo circo della Formula 1 esiste un’invisibile ruota della fortuna la cui “pennetta” può toccare un pilota piuttosto che un altro. Nel mirabolante 2018 di Lewis Hamilton, la ruota ha girato più volte a sfavore del suo grande rivale Vettel: tra erroracci ai box di Maranello e contatti in pista decisamente poco “favorevoli” al tedesco, Hamilton ha avuto (in parte) la strada spianata, aiutato da un team praticamente impeccabile a mettere in mostra il suo talento micidiale, con gare al limite, rischi calcolati, sorpassi da urlo per una stagione che, nel complesso, può essere considerata il suo masterpiece dal debutto nel circus.
In Messico c’è stata una vera e propria crisi Mercedes. Tali prestazioni deludenti restano ancor’oggi inspiegabili e, tempi alla mano, è evidente che le cause vadano ricercate al di là della divenuta annosa questione dei cerchioni. Una crisi, quella di Stoccarda, che ha mandato nel panico lo stesso Lewis, al quale bastava un misero settimo posto per aggiudicarsi per la quinta volta in carriera il mondiale. Alla fine è arrivata una quarta piazza preziosissima; è arrivato il titolo e, in definitiva, i fantasmi sono stati cacciati.
Quali fantasmi? Quelli che Lewis ha già assaporato nel 2008, quando il quinto posto a Interlagos è arrivato all’ultima curva dell’ultimo giro; quando il titolo ormai annunciato sembrava stesse per sfuggirgli (ancora) di mano, come nel 2007. Un Lewis che rischia di andare nel pallone: lui, così freddo e spietato durante l'annata, si riscopre emotivo, fragile, critico di fronte a un possibile approccio al problema; diverso, senza dubbio, da quello che è il modus mentis di un Raikkonen, il quale è abituato, quando la ruota non gira a suo favore, a sedersi più che a scalpitare. Ma Hamilton non è stato l’unico pilota nella storia recente a vivere attimi di puro terrore in circostanze che promettevano tutt’altro.
2003. Suzuka. Michael Schumacher è “quasi campione” per la sesta volta, la quarta consecutiva con la Ferrari. A Indianapolis, sotto il diluvio, ha dato sfoggia del suo talento e di un’impeccabile tenacia nel momento più delicato del mondiale. In Giappone si tratta di una pura formalità, il mondiale è a un soffio. Eppure, già in qualifica, al Kaiser le cose non girano per niente bene. La pioggia scombina i piani della Ferrari e Michael si trova a dover partire dalla settima fila dello schieramento.
Quali fantasmi? Quelli che Lewis ha già assaporato nel 2008, quando il quinto posto a Interlagos è arrivato all’ultima curva dell’ultimo giro; quando il titolo ormai annunciato sembrava stesse per sfuggirgli (ancora) di mano, come nel 2007. Un Lewis che rischia di andare nel pallone: lui, così freddo e spietato durante l'annata, si riscopre emotivo, fragile, critico di fronte a un possibile approccio al problema; diverso, senza dubbio, da quello che è il modus mentis di un Raikkonen, il quale è abituato, quando la ruota non gira a suo favore, a sedersi più che a scalpitare. Ma Hamilton non è stato l’unico pilota nella storia recente a vivere attimi di puro terrore in circostanze che promettevano tutt’altro.
2003. Suzuka. Michael Schumacher è “quasi campione” per la sesta volta, la quarta consecutiva con la Ferrari. A Indianapolis, sotto il diluvio, ha dato sfoggia del suo talento e di un’impeccabile tenacia nel momento più delicato del mondiale. In Giappone si tratta di una pura formalità, il mondiale è a un soffio. Eppure, già in qualifica, al Kaiser le cose non girano per niente bene. La pioggia scombina i piani della Ferrari e Michael si trova a dover partire dalla settima fila dello schieramento.
Una gara folle, quella di Suzuka nel 2003: Barrichello, da fedele scudiero nonché outsider occasionale, si trasforma nel martellatore di crono eccelsi. Un giovane Raikkonen, unico superstite in classifica tra i rivali del tedesco, insegue il brasiliano. Ancora una volta, il titolo è a un passo: i cinque titoli di Fangio stanno per essere superati. Il Kaiser sta per entrare nella leggenda. Basta un solo punto. In rimonta, a Suzuka, è più che possibile, roba apparentemente facile per Michael, su una delle sue piste preferite.
Ma quella ruota… Un piccolo, insignificante contatto con la BAR di Sato. Una sosta ai box inattesa. Ed ecco che appare l’incubo, il fantasma: quello di un titolo ormai certo che sfugge, scivola via dalle dita. A complicare le cose c’è la Williams di Ralf Schumacher, il quale non ha molta voglia di festeggiare il sesto titolo del fratello Michael. I due rischiano più volte il contatto: una lotta fratricida che ha il sapore di un regolamento di conti in famiglia… in mondovisione, sul palcoscenico motoristico per eccellenza. Alla fine Ralf crolla, si gira alla chicane. Va in scena un compendio della stagione bellica del 2003: Ferrari-McLaren-Williams.
Rubinho vince la gara, il Kaiser raggiunge la sacra ottava posizione e il titolo lo vince con le sue mani, a prescindere dall‘ordine di classifica di quei primi sette. Nulla conta più di quel punto arpionato. I fantasmi vengono messi a tacere e i titoli di coda di una stagione irripetibile sorridono a Schumacher e alla Ferrari. Come per la seconda volta consecutiva a Città del Messico dove la vittoria del solito "locale" Max Verstappen, la bellissima prestazione del contendente d'annata Sebastian Vettel, non valgono di fronte allo storico pareggio iridato del “lord” di Stevenage.
Ma quella ruota… Un piccolo, insignificante contatto con la BAR di Sato. Una sosta ai box inattesa. Ed ecco che appare l’incubo, il fantasma: quello di un titolo ormai certo che sfugge, scivola via dalle dita. A complicare le cose c’è la Williams di Ralf Schumacher, il quale non ha molta voglia di festeggiare il sesto titolo del fratello Michael. I due rischiano più volte il contatto: una lotta fratricida che ha il sapore di un regolamento di conti in famiglia… in mondovisione, sul palcoscenico motoristico per eccellenza. Alla fine Ralf crolla, si gira alla chicane. Va in scena un compendio della stagione bellica del 2003: Ferrari-McLaren-Williams.
Rubinho vince la gara, il Kaiser raggiunge la sacra ottava posizione e il titolo lo vince con le sue mani, a prescindere dall‘ordine di classifica di quei primi sette. Nulla conta più di quel punto arpionato. I fantasmi vengono messi a tacere e i titoli di coda di una stagione irripetibile sorridono a Schumacher e alla Ferrari. Come per la seconda volta consecutiva a Città del Messico dove la vittoria del solito "locale" Max Verstappen, la bellissima prestazione del contendente d'annata Sebastian Vettel, non valgono di fronte allo storico pareggio iridato del “lord” di Stevenage.
Ombre, timori, emozioni forse esagerate; situazioni che, spesso, se ben gestite non creano alcun problema al promesso campione. A vederle da fuori, certo, si tratta ancora di formalità. La questione è rimanere concentrati. Ma in pista la faccenda è ben diversa: quando si ha in bocca il sapore del successo, quei piccoli intoppi, risolvibili ma inaspettati ostacoli, possono infestare l'ambito cammino e trasformare i preamboli di una festa in un thriller.