ORARI TV
SKYSPORTF1HD
Giovedi 20 Maggio

Libere 1 Ore 11:30 - Libere 2 Ore 15:00
Sabato 22 Maggio
Libere 3 Ore 12:00 - Qualifiche Ore 15:00
Domenica 23 Maggio
Gara Ore 15:00

DATI CIRCUITO
umero di giri 78
Lunghezza circuito 3.337 km
Distanza di gara 260.286 km
Giro record 1:14.260
Max Verstappen (2018)
ALBO D'ORO PILOTI
VITTORIE
Schumacher, Hamilton 6
Prost, Mansell, Hakkinen 3
Senna, Räikkönen, Alonso 2
Vettel, Verstappen 1
Button, Rosberg 1

POLE POSITION
Schumacher 7
Hamilton 6
Senna 4
Häkkinen, Räikkönen, Rosberg 2
Mansell, Prost, Alonso 1
ALBO D'ORO COSTRUTTORI
VITTORIE
Ferrari 12
McLaren 8
Williams, Mercedes 7
Lotus 6
Red Bull 3
Renault 1

POLE POSITION
Ferrari 13
Mercedes 9
McLaren 8
Williams 6
Lotus 5
Red Bull 2
Renault 1

“Il futuro tra arte e motori”
Formula 1 Plusvalori: la conversazione con Laura Di Nicola


minardi laura di nicola f1 redf1gp| F1 Laura Di Nicola, Giancarlo Minardi - Foto by @elledinicola |
La Formula 1 è il vertice degli sport motoristici e ne rappresenta il principale centro mediatico, economico e antropologico. Quale futuro si prospetta? Verso quale “indirizzo”, umano e sportivo, stiamo per lanciarci? Ne parliamo con Laura Di Nicola: scrittrice, redattrice di motori per Circus F1, pensatrice brillante, autrice del romanzo Formula Uno! La vita, l’amore e i motori. Con lei abbiamo voluto affrontare alcune tematiche che riguardano il motorsport di oggi.

La F1 è un mondo in bilico tra la rusticana brutalità dei motori e la tensione verso ideali antichi, umani, anche legati alle arti. Questa conversazione con l'amica Laura sarà ricca di spunti di riflessione e lascerà zero spazio al politically correct. Sarà invece proiettata verso un futuro della F1 che, allo stato attuale, pare essere alquanto incerto. Parleremo della chimera-donna nel motorsport e delle latenti rievocazioni di leggende del passato, attraversi i tratti di un romanzo decorato da box, asfalto, uomini e mezzi a quattro ruote spaziali.

Viviamo nell’epoca della nostalgia: i film più attesi sono remake di classici neanche così lontani nel tempo, gli artisti musicali più ascoltati sono quelli della vecchia generazione e gli appassionati di F1... Be’, per usare un eufemismo, “rimpiangono” le annate passate. Per ragioni più grandi, nel 2020 il circus è stato obbligato a riproporre un po’ della sua storia, con circuiti che credevamo perduti per sempre e ben tre appuntamenti italiani. Tra questi, abbiamo da poco rivissuto Imola, dopo quasi tre lustri di assenza. Il tuo romanzo, Laura, è ambientato proprio a Imola. Sembra una profezia... Protagonista del romanzo, tra l’altro, è anche una storia di spionaggio che colpisce il motorsport. E proprio quest’anno abbiamo seguito le vicende della Mercedes rosa. Anche in questo caso, perdonami, sembra che tu abbia consultato una sfera di cristallo!

Le sfere di cristallo non esistono, esistono solo cose che possono verosimilmente accadere e che si devono conoscere. Mi verrebbe da rispondere così, parafrasando una celeberrima citazione di qualcuno che non sono degna di parafrasare: effettivamente, però, descrive accuratamente il mio pensiero, cioè che quando qualcosa di complesso come la narrazione di una storia da romanzo si basa su una conoscenza approfondita e rispettosa degli argomenti trattati, si riesce a confezionare una serie di situazioni verosimili, tanto che, se capita, come nel mio caso, che queste situazioni verosimili accadano sul serio, sembra che lo scrittore sia dotato di una qualche forma di potere divinatorio. Eppure mai avrei pensato che proprio nell’anno di uscita del mio libro si sarebbero presentati tanti “casi da sfera di cristallo”: basti pensare che è stato pubblicato il 1 maggio, in un clima già avvelenato dall’affaire power unit Ferrari, fra monoposto “fotocopiate” e spioni che entrano ed escono di scena... E io che mi lamentavo del fatto che l’attuale emergenza sanitaria ha di fatto impedito agli scrittori di presentare e pubblicizzare negli eventi appositi i propri libri! Se mi permetti, aggiungerei un pensiero. Che vi siano “travasi” di notizie più o meno leciti è quasi normale in un ambiente così rarefatto come quello della F1. Pensateci: chi vi approda, a qualunque livello, fa parte di un’élite: meccanici, ingegneri, manager, piloti... Una ristretta rosa di personaggi che hanno avuto obbiettivi elevatissimi, di vertice, fin dalla più giovane età e che, anche grazie all’elevata specializzazione che sviluppano, naturalmente sono portati ad avanzare nel medesimo ambiente ristretto: piloti diventano manager, manager diventano dirigenti di scuderie, dirigenti diventano funzionari FIA, tecnici FIA diventano tecnici di scuderie... Per chi ha spirito di osservazione e un po’ di sensibilità nell’indagare la natura umana, verrebbe facile concludere che, in un siffatto ambiente, ci si conosce tutti, si lavora fianco a fianco, si passa tempo assieme oppure su fronti rivali. Magari si litiga, ci si detesta, dal momento che nuotiamo fra caimani e non nell’allegra barriera corallina di Alla ricerca di Nemo: ancora più facile che qualcuno decida di farla pagare a qualcun altro oppure che segua un proprio personale criterio di giustizia e decida di... levarsi qualche soddisfazione. Mi viene da pensare, quindi, che il tanto auspicato rinnovamento dovrebbe essere innanzitutto un rimescolamento: portare gente nuova, magari anche rischiando, caricando qualcuno digiuno di F1 ma – ad esempio – bravo nel gestire gruppi di persone od organizzazioni complesse, come accade con la protagonista del mio libro, che ha un titolo di ingegnere meccanico ma è esperta di controlli di filiera. Stesso discorso varrebbe per i giovani tecnici: chi ha una formazione per certi aspetti differente potrebbe avere idee “di rottura”, innovative. O, quantomeno, non essere coinvolto in giochi di ruolo ormai sclerotizzati e portare nuova linfa in un ambiente statico, se non avvelenato.

Un po’ di linfa in un ambiente statico... Questa è musica per le mie orecchie! Ad ogni modo, la F1 sta provando a intraprendere strade per rinnovarsi, anche se la tanto attesa rivoluzione regolamentare è stata posticipata al 2022. C’è chi dice che la F1 è morta, ma io credo che il vero appassionato continuerà a seguirla. Ci sono ancora piloti interessanti, ma anche vecchie glorie intramontabili. Abbiamo degli archetipi: Verstappen e Leclerc ci fanno tornare in mente i giovani arrembanti del passato come Alonso, Schumi, Villeneuve... Poi abbiamo i grandi saggi del circus, come Kimi. La società, però, è cambiata molto. Per dirne una: i piloti (alcuni) passano più tempo sui social che faccia a faccia con il loro pubblico.

Partiamo da un presupposto magari banale, ma non elementare: se la F1 ha inanellato settanta stagioni, è perché a suo modo ha saputo seguire l’andare dei tempi e a questi tempi resistere. Del resto, ogni organismo si rinnova per sopravvivere. Certo, non puoi chiedere a chi da bambino viveva la Rivoluzione Francese o viaggiava sul Galaxy Express di provare lo stesso taumazomai per la caccia ai Pokémon; lo stesso vale per chi ha vissuto la gloriosa F1 degli anni Ottanta al cospetto dell’attuale spettacolo di ali, motogeneratori cinetici e personalità ristrette. Uno sport, soprattutto la massima serie dell’automobilismo, dovrebbe trasmettere emozioni e rappresentare un picco; chi lo racconta dovrebbe avere la capacità di aiutare il pubblico a vederla, quell’emozione, soprattutto se è nascosta, e non limitarsi a fomentare polemiche sul nulla alato o invocare “più sorpassi”. Se c’è qualcosa che è morta o prossima a morire, è la cultura dello sport, secondo me. Lo sport, ogni sport, è uno specchio della vita: una contrapposizione continua di giovani, meno giovani, idee, correnti... musi larghi e musi stretti, se mi consenti il paragone! Anch’io racconto una storia di scontri – di personalità, di mentalità, di generazioni ma anche semplicemente di caratteracci – che, per il fine ultimo – in questo caso la sopravvivenza – devono essere composti. La F1 non fa eccezione, per cui vedremo sempre un avvicendarsi di nuovi e vecchi protagonisti, i quali vivranno una convivenza più o meno burrascosa anche in base al contesto che li circonderà. Una volta, questi giovani rampanti si chiamavano Senna e Bellof, oggi si chiamano Leclerc e Verstappen. Una volta, i giovani venivano dati in pasto alle gloriose e cosiddette scuderie minori, a imparare il mestiere di pilota ma anche il mestiere di vivere e... sopravvivere a guasti, rattoppi, prestazioni traballanti, ritiri, fatiche disumane per qualche punto o a un cuore spezzato perché il tuo motore di seconda mano ti tradisce davanti agli osservatori di una scuderia blasonata. Oggi, se ti va male, arrivi in una scuderia satellite a farti masticare dal Marko della situazione ma se ti dice bene nel giro di qualche anno, “da ragazzo” arrivi in una scuderia di vertice; una volta, al vertice arrivavano uomini maturi. Ma quelli che continuano a morire nelle quattro ruote sono ancora e ancora troppo giovani e questo, purtroppo, non è cambiato.

Un’altra rivoluzione che ha già toccato la F1 riguarda certi valori che sembravano distanti dai vecchi concetti del motorsport. Siamo abituati alla strana e falsa idea che un appassionato di motori (e forse uno sportivo in generale) sia una specie di troglodita lontano dalle questioni culturali del suo mondo. Quest’anno si è parlato molto di razzismo, sono comparsi arcobaleni sull’Halo... e intanto si cerca di “valorizzare” le donne. Di sicuro il vecchio detto “Donne e motore, gioie e dolori” ha un po’ stancato. Ma la domanda che mi faccio alle volte è questa: stiamo affrontando la questione nel modo giusto? Abbiamo eliminato le grid girl perché qualcuno le riteneva offensive per il genere femminile, poi abbiamo creato la W Series, che paradossalmente discrimina le donne più di qualunque altra cosa...

Mi fischiano le orecchie, perché vengo spesso presentata come “la ragazza che scrive di F1 perché ne capisce di macchine”, cosa che per me è anche simpatica, intanto perché mi chiamano ancora “ragazza” e poi perché capisco che nell’opinione comune ciò sia ritenuto inusuale e quindi catalizzatore della curiosità. Al di là degli episodi, dirò la mia seccamente: detesto visceralmente qualunque cieca insistenza sul fatto che chi è donna, diversa o appartenente a una minoranza debba essere esaltata in quanto tale e non perché merita in una competizione, qualunque essa sia. Credo che al solo sentir parlare di serie speciale per piloti donna Maria Teresa De Filippis non solo si rivolti nella tomba, ma lanci strali dal paradiso dei corridori a forma di casco, da pilota e da parrucchiere, come quello che le consigliarono di indossare quando, una volta, le rifiutarono l’iscrizione a un gran premio. Io li ho definiti “recinti per panda” in uno dei miei pezzi. La vera parità è giocarsela alla pari, non creare delle condizioni di competizione artefatta. La vera inclusione è globale e avviene abbattendo i recinti, non creandone di nuovi dall’aria bonaria, definendoli “zone protette” per favorire la crescita di questo o quel talento. Mi fa pensare al Muro di Berlino, che fu decantato ai berlinesi dell’Est come una “barriera di protezione dalle invasioni fasciste”: magari a molti sembrò lì per lì una cosa buona, ma a tanti, tantissimi altri, sembrò solo una cosa da voler saltare a tutti i costi. Mi fa tristezza pensare che creare un recinto per panda sia stata l’unica idea per favorire l’ingresso delle donne nelle competizioni automobilistiche e, benché io sia una signora nessuno, questo pensiero è condiviso: date un’occhiata alle dichiarazioni di Pippa Mann o Sophia Floersch... Infine un inciso: la Formula 1 non è mai stata un mondo a parte, ma, anzi, i suoi uomini erano prima di tutto uomini di mondo. Giravano, vedevano, conoscevano. Impossibile, per me, pensare che un Mario Andretti ignorasse il movimento delle Pantere Nere; semplicemente, erano uomini di sport e lasciavano che a parlare fossero le loro gesta sportive. Oggi, invece, chiediamo agli sportivi non solo gesta, ma anche messaggi, solo che nel veicolare questi messaggi entra in ballo la comunicazione e la sua vasta eco fra web e social: c’è chi la gestisce con naturalezza e riesce a essere credibile perché, appunto, naturale, genuino, chi è più mediato, artefatto. In generale, va apprezzato questo interesse verso le cose del mondo e verso le vite degli altri, soprattutto quando avviene in un modo sincero e non piagato dall’eccessiva spettacolarizzazione. Come in tutte le cose, ci vuole intelligenza, una dote che non appartiene a tutti e che perfino alcuni di quelli che la possiedono pare si vergognino di mostrare.

E la F1 è, senza dubbio, uno degli sport più “intelligenti” al mondo. Noi pensiamo che sia quello sport che più di altri “risveglia i talenti”. In un certo senso anche fuori dal circus vero e proprio. Penso al tuo libro, alla possibilità di creare della letteratura lasciandosi ispirare dal motorsport. Al buon cinema, come caso di Rush. Potremmo considerare la F1 stessa una forma d’arte?

La prendo alla larga. Sono stata per diciotto anni un giudice sportivo, nell’atletica leggera per la precisione, ma credo che tutti voi abbiate visto qualche gara di Usain Bolt, giusto? Avete fatto caso a come gli atleti che corrono in pista tagliano il traguardo? La prima parte del corpo che arriva è il busto, il petto. Chi conosce le regole come me sa che è stabilito che quando la verticale del tronco dell’atleta taglia il piano del fotofinish si determina l’arrivo dell’atleta stesso, chi semplicemente ama lo sport e ha la sensibilità di cogliere la bellezza e il significato di ogni gesto dirà che è perché puoi avere una montagna di muscoli e una perfetta gestione della gara, ma quello che ti fa tagliare il traguardo, vincere, è il cuore. Ora, prendete quel cuore, quei cuori e calateli in un abitacolo metallico, spinto da un missile e lanciato a trecento all’ora su una fettina di asfalto: questo è quello che fa un pilota di F1. E cos’è l’arte se non la più magnifica forma di espressione di talento, passione e intelletto? Trovo che i due mondi possano ispirarsi, creare cose bellissime come Rush o infinitamente differenti come il mio libro. Anzi, spesso le storie vere degli uomini veri che hanno fatto la F1 sono più romanzate di un romanzo: pensate alla quasi centenaria e avventurosa vita di Enzo Ferrari o a gente come Brabham, soprannominato “Black Jack”, come i bucanieri dei film in bianco e nero di Errol Flynn... Strano che ci siano così poche opere di fantasia tratte da un mondo così fecondo. A tal proposito vorrei citare e ringraziare per l’ispirazione Benny Casadei Lucchi e il suo romanzo Se il diavolo ha un cuore! La F1 fonde indeterminatezza passionale e rigore scientifico, genio e sregolatezza. Ha tutte le caratteristiche di una forma d’arte, anche se può sembrare un paragone blasfemo, come dovettero sembrare i primi futuristi. Ma preferisco blasfemie di tal genere alle affermazioni di chi, animato da un sentimento di stolida superiorità culturale, viene da un sincero appassionato di sport a dirgli che un gran premio o una maratona non servono a nulla.
Claudio Santoro, Laura Di Nicola.


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