Marina Bay. Riconoscere i meriti di questa nuova Ferrari, targata Marchionne-Arrivabene-Binotto, non esclude la grandezza irriducibile della Mercedes AMG F1. Di Lewis Hamilton, di un certo Toto Wolff. Gente criticabile per approcci controversi anche nel fuori pista, ma che anche in Singapore hanno dato assoluta prova di forza. Proprio come una fu Ferrari.
Italia, Singapore. Due terre lontanissime geograficamente, diversissime per usi e costumi, in termini inequivocabili di percezione popolare della Formula 1. Un filotto schiacciante ad unire queste realtà antipodiche, un filo conduttore che sta dando energia ai soliti noti. Quella Mercedes abituata a stravincere su ritmi da dittatura, ad oggi costretta a vincere soltanto in pista.
Ecco cosa preoccupa di questa stella a tre punte versione 2018. Una potente somiglianza con la sua rivale d'annata, quella dei tempi che furono, costruita dal triumvirato più vincente della storia. Proprio così. Dopo gli ultimi due appuntamenti del calendario, la Mercedes pare candidarsi quale naturale erede di quella nota forma di dominio intramontabile. Roba già vista. Imperversata senza freni sino al fallo di reazione assestato dai tavoli del potere.
I contenuti sono un tantino differenti a testimonianza di una stirpe di indole meno nobile, più sanguinaria, caratterizzata da inaudita scaltrezza. Supponenza allo stato puro, sottesa ad una mania di ostentazione senza precedenti, corroborata da connotati farseschi. Il potenziamento di un arsenale da guerra, mascherato opportunamente secondo la più pura congettura di integerrima lealtà sportiva.
È Torger Christian Wolff il "Mangiafoco" del Circus. Il burattinaio capace di inscenare spettacoli machiavellici vocati all'indotta esaltazione mediatica delle imprese del suo personaggio di spicco. Dalla fabbrica alla pista, talvolta ai su citati banchi del potere, capace di tenere serrate le fila dopo pesanti attacchi, nel trovare l'eventuale soluzione ad ogni potenziale problema. Unico nello sfruttare tutte le risorse tenute dai suoi invisibili fili, come il sommo sacrificio per la ragion di stato di giovani, speranzose ambizioni insite in due sue famose marionette.
È quest'austriaco belloccio e forzatamente cordiale il vero stregone della corazzata di Stoccarda. Abilissimo nell'utilizzo del suo potente libro delle magie in cui l'indubbio ed immane talento del "Lord di Stevenage" riveste l'eccelsa diavoleria. Lewis Hamilton è il cecchino, il pilota capace di rendere realtà qualsiasi brama di successo. L'uomo da viziare e sostenere a dismisura come unica opzione per godere della sua massima resa. All'uopo, lo specchietto per le allodole, il paradossale capro espiatorio a salvezza ultima dei destini iridati Mercedes.
Una favola vivente, dai nobilissimi principi che vedrebbe l'uomo vincere anche contro la macchina, da iniziare a tramandare in divenire. Perché no, omettendo che questo stesso uomo la vince con la sua di macchina. Un mezzo anche problematico, deliziato e plasmato solo dalla sua grandezza, dalle inconfutabili doti mentali. Tralasciando quella colonia di formiche operaie impegnatissime lungo l'asse Brackley-piste, anche per raddrizzare la situazione, giostrate occultamente da Torger l'impalatore.
È Torger Christian Wolff il "Mangiafoco" del Circus. Il burattinaio capace di inscenare spettacoli machiavellici vocati all'indotta esaltazione mediatica delle imprese del suo personaggio di spicco. Dalla fabbrica alla pista, talvolta ai su citati banchi del potere, capace di tenere serrate le fila dopo pesanti attacchi, nel trovare l'eventuale soluzione ad ogni potenziale problema. Unico nello sfruttare tutte le risorse tenute dai suoi invisibili fili, come il sommo sacrificio per la ragion di stato di giovani, speranzose ambizioni insite in due sue famose marionette.
È quest'austriaco belloccio e forzatamente cordiale il vero stregone della corazzata di Stoccarda. Abilissimo nell'utilizzo del suo potente libro delle magie in cui l'indubbio ed immane talento del "Lord di Stevenage" riveste l'eccelsa diavoleria. Lewis Hamilton è il cecchino, il pilota capace di rendere realtà qualsiasi brama di successo. L'uomo da viziare e sostenere a dismisura come unica opzione per godere della sua massima resa. All'uopo, lo specchietto per le allodole, il paradossale capro espiatorio a salvezza ultima dei destini iridati Mercedes.
Una favola vivente, dai nobilissimi principi che vedrebbe l'uomo vincere anche contro la macchina, da iniziare a tramandare in divenire. Perché no, omettendo che questo stesso uomo la vince con la sua di macchina. Un mezzo anche problematico, deliziato e plasmato solo dalla sua grandezza, dalle inconfutabili doti mentali. Tralasciando quella colonia di formiche operaie impegnatissime lungo l'asse Brackley-piste, anche per raddrizzare la situazione, giostrate occultamente da Torger l'impalatore.
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Lewis Carl corre alla Schumacher, massimizza tutto quanto messogli a disposizione dai suoi uomini, si difende quando sa di non poter attaccare. Suggella l'opinione pubblica per queste capacità di finalizzatore infallibile, sull'onda di un rendimento sancito implacabilmente fuori media. Una visione fallace, non contestualizzata affatto sull'orizzonte di una carriera che ufficializza il suo quasi completo approdo nello stadio designato soltanto in queste due ultime stagioni. Tesi comunque traballante in riferimento ad una mente stridente in tenuta, non appena costretta a metabolizzare una tranvata in pista.
Si diceva di un concetto univoco di parzialità, la somiglianza in quanto tale rispetto alla fonte di ispirazione della Mercedes d'annata, dalle contingenze trascesa in una similare dimensione. La fu Ferrari guardava a se stessa, costruiva esclusivamente in fabbrica la sua epopea, si faceva rispettare sulle tavole rotonde. Alzava la voce quando aveva certificate ragioni, tralasciava la bassissima arte della manipolazione del sospetto, si guadagnava in pista le armi vincenti per estendere la sua egemonia. Si dichiarava platealmente al servizio incondizionato di quell'unico pilota.
Si diceva di un concetto univoco di parzialità, la somiglianza in quanto tale rispetto alla fonte di ispirazione della Mercedes d'annata, dalle contingenze trascesa in una similare dimensione. La fu Ferrari guardava a se stessa, costruiva esclusivamente in fabbrica la sua epopea, si faceva rispettare sulle tavole rotonde. Alzava la voce quando aveva certificate ragioni, tralasciava la bassissima arte della manipolazione del sospetto, si guadagnava in pista le armi vincenti per estendere la sua egemonia. Si dichiarava platealmente al servizio incondizionato di quell'unico pilota.
Tutte chiacchiere. Ciò che conta è il risultato finale, i meriti comunque indiscutibili di questa finta Ferrari di Germania, dissimile per un aspetto trasversale. Quel lanciare la pietra e nascondere la mano, la clamorosa differenza sta anche qui, passando per il saper perdere del fu "Kaiser". L'unico capace di correre dagli albori alla Schumacher. Ecco, la valutazione ha le gambe corte, pur sempre più lunghe della memoria.