Yas Marina. Una gara degna di un tramonto, di quelli poco emozionanti per un finale di mondiale già ratificato, per pathos sportivo pressoché inesistente. Tutto scritto nella noia totale di una domenica che dice qualcosa soltanto al ritorno ultimo sulla linea di partenza. Lewis Hamilton, Fernando Alonso e Sebastian Vettel lanciano tanti messaggi, dai variopinti significati.
Il vero show ha avuto inizio dopo lo sventolio della bandiera a scacchi. Un giro d'onore che confinato ai due contendenti d'annata sarebbe stato semplicemente una brutta copia più fumosa di quello di Città del Messico. Non fosse per il fortuito incontro con l'illustre nome che si apprestava a sparire dalle scene, a dare un calcio al mondo che lo ha consacrato e martoriato senza pietà.
Fernando Alonso sulla sua dannata Mclaren orange riesce nell'impresa di trovarsi nel posto giusto nel momento giusto, una eventualità nella quale non riponeva da tempo immemore la benché minima speranza. Su una pista per lui beffarda da quel maledetto tiro mancino strategico accusato nel 2010, nel momento giusto per succedere al compare generazionale quale iridato in rosso nell'anno di esordio.
Storia nota dai connotati già leggendari nonostante il recente passato in cui si è consumata, una ferita ancora aperta, difficilmente rimarginabile soprattutto per il diretto interessato. Decisamente, un crocevia alla sliding doors che ha restituito alla realtà la lenta ed inesorabile agonia di Fernando Alonso per la restante parte della sua carriera in F1.
Eppure, Abu Dhabi qualcosa concede nell'ultimo istante di pista di una vita all'asturiano dal carattere tagliente ed egocentrico, un atto dovuto di commiato, denso di emozione, dal sapore puro di verità. Allorquando lo sceneggiatore Lewis Hamilton invita il suo primo rivale della carriera sulla griglia di partenza, per ricevere l'onore delle armi anche dal rivale in rosso, Sebastian Vettel. L'ultimo vero dello stesso Fernando.
Uno strano cerchio che si chiude, un triello fumante che ha proiettato nella mente di chiunque i ricordi, le scansioni video ed audio di lotte intestine, incrociate ed a distanza dell'ultimo decennio della massima serie. Un triplo "crop circles" su asfalto disegnato da strisce nere in cui distinguere l'essere prima delizia e poi croce lato Alonso, prima croce e poi delizia lato Hamilton e Vettel.
Uno spot, solo l'ultimo in ordine cronologico utile per ricordare quanto la Formula 1 sia specialmente Campioni del Mondo, nonostante il nuovo che deve avanzare. Nonostante le orde di giovanotti protagonisti in una sfida persa contro il prendere il testimone. Una manifestazione di stima e rispetto atta a schiacciare qualsiasi astio, anche tra sostenitori, detrattori dell'una e dell'altre parti, un unico comune denominatore costituito dall'indiscutibile valore iridato.
Eppure, Abu Dhabi qualcosa concede nell'ultimo istante di pista di una vita all'asturiano dal carattere tagliente ed egocentrico, un atto dovuto di commiato, denso di emozione, dal sapore puro di verità. Allorquando lo sceneggiatore Lewis Hamilton invita il suo primo rivale della carriera sulla griglia di partenza, per ricevere l'onore delle armi anche dal rivale in rosso, Sebastian Vettel. L'ultimo vero dello stesso Fernando.
Uno strano cerchio che si chiude, un triello fumante che ha proiettato nella mente di chiunque i ricordi, le scansioni video ed audio di lotte intestine, incrociate ed a distanza dell'ultimo decennio della massima serie. Un triplo "crop circles" su asfalto disegnato da strisce nere in cui distinguere l'essere prima delizia e poi croce lato Alonso, prima croce e poi delizia lato Hamilton e Vettel.
Uno spot, solo l'ultimo in ordine cronologico utile per ricordare quanto la Formula 1 sia specialmente Campioni del Mondo, nonostante il nuovo che deve avanzare. Nonostante le orde di giovanotti protagonisti in una sfida persa contro il prendere il testimone. Una manifestazione di stima e rispetto atta a schiacciare qualsiasi astio, anche tra sostenitori, detrattori dell'una e dell'altre parti, un unico comune denominatore costituito dall'indiscutibile valore iridato.
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Il tempo della nostalgia per un uomo difficile, forse anche per se stesso, preso dentro da un caratteraccio spesso enigmatico, rovente come un inferno in continuo tumulto di vive fiamme dove anche penare per l'eternità è ardua fatica. La resa dei conti di un'intera carriera vibrante su di una personalità a tratti sagace, ingenua, ingannevolmente maldestra nel chiosare, nella scelta intrapresa per non restare sempre e solo secondo sotto le insegne di Maranello.
Lewis Carl viaggia sul suo red carpet, vive uno status da primo della classe, da migliore di tutti i tempi in qualche statistica, è doverosamente maturo per accettare di inscenare il suo omaggio al campione che se ne va. Sebastian accompagna doverosamente la trovata, il tanto avuto con merito proviene per metà da quanto preso al "vecchio" spagnolo, lo stesso pilota che ha lasciato il campo aperto al principio del suo ancora irrealizzato sogno.
Lewis Carl viaggia sul suo red carpet, vive uno status da primo della classe, da migliore di tutti i tempi in qualche statistica, è doverosamente maturo per accettare di inscenare il suo omaggio al campione che se ne va. Sebastian accompagna doverosamente la trovata, il tanto avuto con merito proviene per metà da quanto preso al "vecchio" spagnolo, lo stesso pilota che ha lasciato il campo aperto al principio del suo ancora irrealizzato sogno.
Fernando Alonso è stato lo Schumacher di Hamilton e Vettel, il punto di riferimento da superare per divenire automaticamente iridati. L'esempio da seguire per tenere la tenacia e la costanza in pista, dal quale prendere le distanze nel non mettersi talvolta da parte, sacrificando futili esternazioni da prima donna in nome della conquista dell'obiettivo primario pluris firmatari nell'albo d'oro dei campioni del mondo F1.