Shanghai. La storia di Verstappen e della sua Red Bull, specialmente dopo la prestazione in Cina, ripercorre alcune storie che iniziano dal basso e lì terminano la loro corsa. Altre partono dalle luci della ribalta per non scendere mai dal palco. Ma ci sono storie, e di solito sono le migliori, che vivono il loro primo atto in una terra di mezzo capace di mettere in risalto certi talenti non comuni. La storia di Max, in un certo senso, ripercorre quella di due leggende che ben conosciamo.
Ci sono luoghi dove un pilota di Formula 1 non vorrebbe mai finire. Sul sedile della vettura meno competitiva, per esempio, a prendersi sulla visiera la polvere degli altri, con poche, pochissime possibilità di dimostrare il proprio valore. Ci sono altri luoghi che per un pilota rappresentano il sogno, spesso irraggiungibile: il top team, la vettura dominante, quella che la polvere la fa mangiare agli altri.
E poi c’è una sorta di confine, una terra di mezzo o di nessuno, in cui certi piloti, quelli per così dire “predestinati”, finiscono senza neppure volerlo. E lì fanno la loro fortuna e quella della squadra. C’è stato un tempo in cui le gerarchie nel circus erano forse più facili da comprendere, per certi versi persino prevedibili: c’erano uno o due top team, che potevano arrivare a dare anche un paio di secondi buoni agli avversari, e poi c’era un terzo incomodo, l’outsider, un team minore sulla carta e inferiore per disponibilità di risorse.
La Lotus di fine anni Ottanta o la Benetton di inizio anni Novanta hanno rappresentano proprio questo limbo, con le loro macchine veloci ma non abbastanza: un luogo “sbagliato” ma in realtà perfetto per certe personalità. È proprio all’interno di contesti del genere, di determinate situazioni tecniche, che i piloti, quei piloti che hanno una marcia in più nel piede, sono in grado di trovare lo spiraglio per compiere imprese che non serviranno a raggiungere un titolo mondiale, bensì qualcosa in più.
La Lotus di fine anni Ottanta o la Benetton di inizio anni Novanta hanno rappresentano proprio questo limbo, con le loro macchine veloci ma non abbastanza: un luogo “sbagliato” ma in realtà perfetto per certe personalità. È proprio all’interno di contesti del genere, di determinate situazioni tecniche, che i piloti, quei piloti che hanno una marcia in più nel piede, sono in grado di trovare lo spiraglio per compiere imprese che non serviranno a raggiungere un titolo mondiale, bensì qualcosa in più.
Le storie di un giovane paulista dallo sguardo malinconico e di un promettente tedesco quasi sempre imbronciato, le conosciamo bene. Sono storie che trovano l’apice del loro percorso agonistico proprio all’interno di quei team scomodi ma non troppo, comodi, sì, ma non abbastanza, con quelle vetture colorate, considerate outsider perfette per ravvivare un mondiale, mettere in scena spettacoli d’eccezione capaci di far impallidire le luci dei principali contendenti.
Max Verstappen, quello che fino a uno o due anni fa non avremmo esitato a definire un pazzo, un ragazzino prodigio, certo, ma senza la testa sulle spalle, veloce sì, ma pericoloso anche; proprio lui, che prima ancora di spegnere 22 candeline può contare 82 GP disputati, ha dimostrato in Cina, come già in Bahrain e in Australia, di avere tra le mani la macchina sbagliata nel momento giusto. Una Red Bull difficile, quella di quest’anno, capace di mettere in crisi un pilota sulla carta buono, talentuoso come Pierre Gasly.
Eppure è proprio questa difficoltà che può mettere in risalto le prestazioni di Max, più di qualunque motore potente o aerodinamica efficiente. Lui dice che non ne aveva abbastanza, in pista, per lottare con Vettel alla pari, ma dice anche che di Sebastian, di Hamilton e di Leclerc, paura non ne ha per niente… e che l’unica cosa che gli manca è una vettura all’altezza. Vi ricorda qualcuno, per caso?
Max Verstappen, quello che fino a uno o due anni fa non avremmo esitato a definire un pazzo, un ragazzino prodigio, certo, ma senza la testa sulle spalle, veloce sì, ma pericoloso anche; proprio lui, che prima ancora di spegnere 22 candeline può contare 82 GP disputati, ha dimostrato in Cina, come già in Bahrain e in Australia, di avere tra le mani la macchina sbagliata nel momento giusto. Una Red Bull difficile, quella di quest’anno, capace di mettere in crisi un pilota sulla carta buono, talentuoso come Pierre Gasly.
Eppure è proprio questa difficoltà che può mettere in risalto le prestazioni di Max, più di qualunque motore potente o aerodinamica efficiente. Lui dice che non ne aveva abbastanza, in pista, per lottare con Vettel alla pari, ma dice anche che di Sebastian, di Hamilton e di Leclerc, paura non ne ha per niente… e che l’unica cosa che gli manca è una vettura all’altezza. Vi ricorda qualcuno, per caso?
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Ecco, al di là del bel duello con la Ferrari numero 5, un duello che in altre annate sarebbe terminato con una lite a bordo pista o ai box, naturalmente a piedi, e che quest’anno si è invece risolto in un aggressivo e spettacolare confronto, al limite ma leale, in pista (con una piccola ed emozionante escursione sull’erba), quello che esce fuori dai primi tre gran premi del giovane olandese è la sua incapacità di accontentarsi.
La gavetta prolungata, certo una gavetta di lusso, per carità, non ha assopito i suoi istinti killer, i suoi desideri di primeggiare. Tutt’altro: ha sempre più fame, il piccolo Max. Ha sempre più voglia di dimostrare coi risultati di essere il più forte, al di là della lotta per il mondiale. E magari Verstappen sogna probabilmente una Red Bull che sia all’altezza dei fasti di un tempo. Perché i “bibitari”, anche se alle volte ce lo dimentichiamo, sono stati capaci di prendersi quattro mondiali di fila.
La gavetta prolungata, certo una gavetta di lusso, per carità, non ha assopito i suoi istinti killer, i suoi desideri di primeggiare. Tutt’altro: ha sempre più fame, il piccolo Max. Ha sempre più voglia di dimostrare coi risultati di essere il più forte, al di là della lotta per il mondiale. E magari Verstappen sogna probabilmente una Red Bull che sia all’altezza dei fasti di un tempo. Perché i “bibitari”, anche se alle volte ce lo dimentichiamo, sono stati capaci di prendersi quattro mondiali di fila.
E scusate se è poco. Magari Max sogna la Mercedes. O magari la Ferrari. Ma per ora, questa situazione di mezzo, scomoda ma non scomodissima, non all'altezza di un titolo mondiale ma inconsciamente strutturata per dare spazio al talento, può solo giovare a un pilota che nella sua generazione ha trovato il luogo dove fingersi outsider eterno mentre studia un modo per raggiungere l’eternità del successo.