Michele Alboreto, il segno in Formula 1 l’ha lasciato eccome. Umanità in primis, tanta. In una categoria dove per arrivare in alto devi essere spietato, Michele non aveva mai rinunciato a un sorriso, a uno sguardo dolce, a una gentilezza che sembrava lontana da quell’agonismo che lo dominava. Era ben capace, infatti, di trasformarsi in una belva in pista, affamato di vittorie come pochi. Un quasi campione del mondo.
Una carriera costituita da gagliardi alti e sfortunati bassi, su vetture a volte poco competitive, ma sempre caratterizzata da una potente voglia di esserci in pista, con una velocità ricercata e una capacità di messa a punto sopra la media. Privilegiato in special modo dal Drake, quando lo scelse per metterlo alla guida della Ferrari dal 1984, nonostante poco incline nella scelta di piloti italiani.
Forse Enzo Ferrari fu conquistato dalla sua bontà d'animo, semplicità, ed ovviamente dalla bravura al volante. Un uomo davvero speciale, di sanissimi principi, di una intelligenza singolare, soprattutto ogni volta che era invitato a proferire parola fuori dalla vettura. Un'essenza genuina, forte, anche polemica quando necessario, come all’alba del ’94, quando fece osservazioni importanti sulle novità tecniche, sulla sicurezza.
Mai schiavo delle dinamiche politiche, di ciò che poteva esser conveniente o meno, in nome di quella spontaneità, di quella sincerità che lo aveva sempre contraddistinto; o come quando, dopo Imola, criticò la Williams e parlò senza remore dell’incidente di Senna, pilota con cui aveva stretto un rapporto di amicizia, dopo esservisi scontrato duramente negli anni Ottanta, in pista e fuori, perché Michele era così. Un pilota concreto.
Uno che si trovò ad accarezzare il sogno di diventare mondiale in rosso, quello comune a tutti i piloti italiani. E non solo. Era il 1985, autore di una grandissima stagione, trovò sulla sua strada l'astro nascente, Alain Prost. L'ultimo anno in Ferrari fu il 1988, quando la MP4/4 di Senna e Prost non lasciò nemmeno le briciole al resto del gruppo. Eppure a Monza, qualcuno, forse dall'alto, diede una mano: arrivò una doppietta Ferrari, vinta però da Berger.
E come tutte le storie, anche quella di Alboreto in Ferrari finì. Sparì, lentamente dalla categoria, senza mai avere rancore per quel mondo che, anche a quel tempo, andava molto veloce. Sparì anni dopo dal mondo dei mortali, 2001, in un incidente al volante di una Audi Le Mans, mentre era impegnato in una sessione di test al Lausitzring, Germania.
Portò con se quel suo malinconico sorriso, quella sua personalità capace di unire talento e umanità, ferocia al volante e gentilezza ai box. Una sinergia di emozioni che raramente abbiamo rivisto, che difficilmente rivedremo. Un connubio di ragione e sentimento di rara bellezza. Ciao, Michele. Anzi, no. Arrivederci.
Forse Enzo Ferrari fu conquistato dalla sua bontà d'animo, semplicità, ed ovviamente dalla bravura al volante. Un uomo davvero speciale, di sanissimi principi, di una intelligenza singolare, soprattutto ogni volta che era invitato a proferire parola fuori dalla vettura. Un'essenza genuina, forte, anche polemica quando necessario, come all’alba del ’94, quando fece osservazioni importanti sulle novità tecniche, sulla sicurezza.
Mai schiavo delle dinamiche politiche, di ciò che poteva esser conveniente o meno, in nome di quella spontaneità, di quella sincerità che lo aveva sempre contraddistinto; o come quando, dopo Imola, criticò la Williams e parlò senza remore dell’incidente di Senna, pilota con cui aveva stretto un rapporto di amicizia, dopo esservisi scontrato duramente negli anni Ottanta, in pista e fuori, perché Michele era così. Un pilota concreto.
Uno che si trovò ad accarezzare il sogno di diventare mondiale in rosso, quello comune a tutti i piloti italiani. E non solo. Era il 1985, autore di una grandissima stagione, trovò sulla sua strada l'astro nascente, Alain Prost. L'ultimo anno in Ferrari fu il 1988, quando la MP4/4 di Senna e Prost non lasciò nemmeno le briciole al resto del gruppo. Eppure a Monza, qualcuno, forse dall'alto, diede una mano: arrivò una doppietta Ferrari, vinta però da Berger.
E come tutte le storie, anche quella di Alboreto in Ferrari finì. Sparì, lentamente dalla categoria, senza mai avere rancore per quel mondo che, anche a quel tempo, andava molto veloce. Sparì anni dopo dal mondo dei mortali, 2001, in un incidente al volante di una Audi Le Mans, mentre era impegnato in una sessione di test al Lausitzring, Germania.
Portò con se quel suo malinconico sorriso, quella sua personalità capace di unire talento e umanità, ferocia al volante e gentilezza ai box. Una sinergia di emozioni che raramente abbiamo rivisto, che difficilmente rivedremo. Un connubio di ragione e sentimento di rara bellezza. Ciao, Michele. Anzi, no. Arrivederci.