ORARI TV
SKYSPORTF1HD
Giovedi 20 Maggio

Libere 1 Ore 11:30 - Libere 2 Ore 15:00
Sabato 22 Maggio
Libere 3 Ore 12:00 - Qualifiche Ore 15:00
Domenica 23 Maggio
Gara Ore 15:00

DATI CIRCUITO
umero di giri 78
Lunghezza circuito 3.337 km
Distanza di gara 260.286 km
Giro record 1:14.260
Max Verstappen (2018)
ALBO D'ORO PILOTI
VITTORIE
Schumacher, Hamilton 6
Prost, Mansell, Hakkinen 3
Senna, Räikkönen, Alonso 2
Vettel, Verstappen 1
Button, Rosberg 1

POLE POSITION
Schumacher 7
Hamilton 6
Senna 4
Häkkinen, Räikkönen, Rosberg 2
Mansell, Prost, Alonso 1
ALBO D'ORO COSTRUTTORI
VITTORIE
Ferrari 12
McLaren 8
Williams, Mercedes 7
Lotus 6
Red Bull 3
Renault 1

POLE POSITION
Ferrari 13
Mercedes 9
McLaren 8
Williams 6
Lotus 5
Red Bull 2
Renault 1

“Codice rosso”
Formula 1 Monaco 1984: Una vittoria, una sconfitta, una guerra


f1 gp monaco 1984 ayrton senna toleman hart| F1 GP Monaco 1984, Ayrton Senna su Toleman-Hart - Foto by Pinterest |
Un’edizione indimenticabile, visti gli esiti, il come, nella fattispecie, a disegnare tanta roba in pista, tantissima all'atto della premiazione, la circostanza primordiale di una futura guerra. Il tutto, nelle note della fascinosa Montecarlo, l'alcova della Formula 1, il teatro dove solo i grandi sono abilitati dal talento, dall'istinto alla conquista di quel podio principesco. Vinse Alain Prost su McLaren-Tag Porsche MP4/2.


M
onaco 1984. Pioggia, tantissima acqua, fin dal mattino. In prova Nigel Mansell, Lotus, si era avvicinato ad Alain Prost, McLaren Tag-Porsche. Erano lì davanti, quei due, non ancora campioni del mondo ma entrambi coi numeri per diventarlo. Il poleman aveva un solo, piccolo problema: un austriaco, già due volte iridato, e rinvenuto da un inferno di fiamme che lo aveva sfigurato.

Era Niki Lauda, il suo compare d'armi, tornato in trincea col team di Woking dal 1982, dopo quel temporaneo saluto targato Brabham '79. Forse, un sottovalutato oppositore per l'iride '84 in riferimento al giovincello di Francia, un campione imprevedibile, ancora dotatissimo di velocità, freddezza, e attitudine da finalizzatore.

Proprio come Alain, il vero astro nascente della F1 degli anni Ottanta, quel francese dalla capigliatura riccioluta originario di Lorette, la speranza più concreta per la sua nazione. Il primo transalpino accreditabile per la conquista del primo iride della storia d'Oltralpe nella massima seria a ruote scoperte. L'erede di Didier Pironi, Patrick Tambay, dello stesso René Arnoux. Perché no, di François Cévert. La dannazione per gente come Nelson Piquet, per quella meteora mondiale di Keke Rosberg, un pupillo designato per dominare la scena per almeno un decennio.

Colui che si avvicinava molto a quelle caratteristiche asburgiche. Pronto per prenderne il posto. O quasi. Perché forse sarà proprio quella domenica ad alimentare nella mente del francioso l’idea che la Formula 1 fosse uno sport per calcolatori. Ogni gara può risultare determinante, al momento della resa dei conti, un solo punto può fare una sporca differenza. Nel mezzo, Lauda, l'essere di una stessa specie, tornato per cercare di riprendersi il terzo alloro, quello in parte consegnato volontariamente al rivale James Hunt, in quell'oramai lontano, drammatico 1976.
Ma a minare le certezze dell'intera griglia di Monaco '84, un fiume in piena sulle stradine del Principato. Niki, il saggio, chiese addirittura di bagnare l’asfalto sotto il tunnel, per evitare eccessive differenze di grip rispetto al resto del tracciato. Per indurre l'esorcismo dei suoi fantasmi del Fuji, dove impaurito da un cataclisma simile, dopo il trauma patito sulla Nordschleife, rimase impietrito su quei nastri di partenza.

Sempre lì, tra la moltitudine di uno start inzuppato, l'apparentemente innocuo, Ayrton Senna da Silva, un brasiliano alla sua prima stagione tra i grandi di quel Circus. Promettente, sì, ma ancora acerbo, si diceva. Nessuno poteva sospettare che quella giornata sarebbe anche divenuta il principio di una guerra, quando una pezza rossa fece da fiaccola all'apertura delle ostilità.

Questi, gli ingredienti d'annata, pronti ad essere mescolati per dar vita alla prima sfida moderna tra compagni di box, dai connotati dolci, dal clima denso di rispetto e di relativa curanza data la contrapposizione del vecchio col nuovo che doveva avanzare. Una delicata lotta tra due piloti aventi una caratteristica comune, l'arte della ragioneria, un aspetto poco romantico, utilissimo al raggiungimento di eventuali ripetuti iridi, il contraltare dell'estro, dell'istinto da predatore. Del modo passionale di correre di Senna, di un certo Stefan Bellof.

La signora pioggia, dunque, scesa con una tal veemenza da far appassire qualsiasi velleità dei comuni mortali partecipanti in quella edizione monegasca. Compreso quel partente in prima fila che sarebbe divenuto il "Leone di Inghilterra". L'imprevisto utile ai calcolatori McLaren, prontissimi a fare ricorso al proverbiale autocontrollo a salvaguardia della permanenza in pista, in una sorta di sequestro di talento, volto esclusivamente all'annullamento di ogni fattore di rischio. L'arma preferita del duo di Ron Dennis contro il genio, volendo la follia, in pieno controllo, degli outsiders di quella Monaco '84.
Questione di maturità, di sterile pragmatismo, frutto di condizioni al contorno, di formae mentis, nulla a che vedere con quell'esordiente rispondente al nome di Ayrton. L'impensabile avversario di quella Montecarlo del figliol prodigo d'Oltralpe, alla guida di uno dei paracarri dell'epoca, di una Toleman-Hart, quella monoposto bianca e blue, con quel bizzarro, poco estetico doppio alettone posteriore. Una vettura goffa ed inoffensiva, che su quel bagnato principesco divenne un offshore imbattibile.

Era la seconda vettura più veloce in pista, la Toleman #19. La prima era la variopinta, filante nelle forme, Tyrrel #4 di un tedesco partito dalla ventesima casella dello schieramento. Forse, un predestinato a divenire il primo campione del mondo lato Germania. Una storia, la sua, consumatasi in un destino che gli avrebbe tolto, a tutti, il gusto di scoprirlo.

Ayrton era a ridosso della testa della corsa, degli altri si era sbarazzato con una disarmante facilità. Nonostante una sospensione danneggiata su uno dei cordoli, alcun problema, continuò a sfrecciare e a guadagnare metri di asfalto. Davanti a lui rimaneva solo la MP4/2 col numero 7 sul musetto, quella vettura replicante la livrea della celeberrima marca di sponsor tabaccaio. La McLaren del francese, saldamente in prima posizione, una preda agonizzante alla vista di quel predatore, forte e possente, reso vincente dallo spesso strato d'acqua presente lungo ogni centimetro di pista.

Tutti, quel giorno, restarono attoniti nella scoperta di un talento fuori dal comune, capace di esaltarsi sotto un diluvio reso ancora più drammatico dalla difficoltà del tracciato. In pochi, però, sapevano che dietro a quelle doti di guida v’era anche tanta fatica: un duro allenamento che il giovane paulista aveva portato avanti per scrollarsi di dosso quella che riteneva la sua unica debolezza. L'asfalto bagnato. Era proprio in simili condizioni che Senna, agli albori, sembrava non riuscire ad essere alla sua di altezza.
E allora – anticipando quello che sarà il suo modus sportivo degli anni a venire – ecco l’elemento che si distacca dal talento puro e che riguarda l’impegno e la dedizione, in un certo senso l’amore per lo sport, e per il successo. Ayrton si allenava duramente, anche in solitudine, ogni volta che sui circuiti piangevano le nuvole. Mancava ancora molto al suo arrivo in F1. Ma lui, nel frattempo, aveva vinto la sua prima personalissima sfida. Ma a Montecarlo, quel giorno, nessuno ne era ancora al corrente.

Il tutto, per giungere ad una marcia irresistibile che trovò compimento in un sorpasso al giro 32, quando la Toleman sfrecciò sul rettilineo di partenza, mentre la vettura di Woking si accostava sulla destra, dinanzi un tizio apparso solo pochi secondi prima in corrispondenza del traguardo per sguainare una scure di stoffa di colore rosso. Con al fianco un compare con la bandiera scaccata. Jacky Ickx, l'uomo con la bandiera rossa, ignorato dall'imbizzarrito da Silva per visibilità ridotta, un toro ancor più furioso dopo l'aver compreso che la corsa si sarebbe interrotta con la classifica del giro precedente.

Bellof pareva trascinato immaginariamente da quel maghetto di San Paolo. Si rese protagonista di un recupero ancora più fenomenale, magico nel districarsi, in una trentina di tornate, tra incidenti, ritirati, chicane mobili ancora a spasso. Arrivando sino ai piedi del podio, dietro René Arnoux. Ebbe il tempo di mangiarsi quella Ferrari, di issarsi con l'ultimo colpo di reni sul gradino basso. Una gara nella gara, a testimonianza della vittoria del talento, del coraggio, il trionfo del cuore sulla ragione di quelle fredde menti da computer di quei vicini di box, simili in tutto e per tutto.

Ed a quel parco chiuso, al cospetto del podio sovrastato dal Principe Ranieri, il "Ricciotto di Lorette" si sentì osservato speciale, in balia di occhi infervorati, affamati, contrariati per quell'esito sportivo artefatto, per quella vittoria scippata a nemmanco metà faida. Una atmosfera tesa, tesissima, con il ragazzo di San Paolo tagliente alle interviste, critico verso la direzione gara per quella interruzione ingiustificata del gran premio. Con il francese, nelle vicinanze, ligio sostenitore della prematura chiusura dei giochi, giusto in tempo per poter alzare il trofeo dal gradino alto.
Due piloti che provavano emozioni diversissime, con Prost leggermente contratto in viso da quell'atteggiamento carico di supponenza, sicurezza, ed enorme carisma di quell'occasionale rivale domenicale venuto da chissà dove, quasi a guastargli quella festa. Preoccupato da quella elegantissima rabbia contenuta, ben visibile sul volto sbarbato di quel da Silva, strenuo nell'ignorare con somma sufficienza il miracolato trionfatore di giornata. L'omino dal naso importante, il prescelto per il ruolo del nuovo che doveva avanzare.

Un podio restituito alla Ferrari di Arnoux, poi, quando a quella colorata Tyrrel #4 venne comminato un cartellino rosso, una squalifica non valevole affatto nei ricordi degli appassionati. Una vittoria decisa a tavolino che valse al suo famosissimo vincitore un punteggio dimezzato. Solo 4,5 punti iridati, a fronte dei 6 dati da una più onesta seconda piazza a favore della probabile prima affermazione del rookie brasiliano. Lo stesso pilota dal casco verdeoro capace di ridicolizzare in quella Monaco il più grande degli anni settanta, sverniciato dall'esterno come fosse il primo dei doppiati sul rettilineo del traguardo.

Niki Lauda, il futuro campione del mondo '84, laureatosi iridato per la terza volta, alla veneranda di anni 35, per aver conquistato 0,5 punti in più sul diretto rivale, quel suo nuovissimo alter ego di pari colori. Nonostante, dopo l'umiliazione la beffa, ritiratosi alla curva do Casinò per un errore al giro 23 della sua penultima Montecarlo. Poco male. Solo mezzo punto, caro Alain. Quel mezzo punto.

La Redazione.

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