Dopo la vittoria del campionato di endurance e di due edizioni della 24 Ore di Le Mans, Fernando Alonso ha ancora un obiettivo dichiarato: vincere la Indy 500, cosa di per sé non troppo facile, ma resa ancora più difficile dal faticare a trovare un volante: la "clamorosa notizia" di questi ultimi tempi è il veto di Honda a una entry per il team Andretti, squadra con cui, in partnership con la McLaren, l'ex ferrarista gareggiò nel 2017.
Partiamo da un dato di fatto: in questo veto di clamoroso non c'è nulla. Non perché le polemiche tra Alonso e il motorista giapponese, risalenti ai tempi della McLaren in Formula 1, dovessero per forza portare a questo risultato. Piuttosto, viene dipinta come una novità assoluta una notizia che può stupire soltanto chi nell'ultimo anno, non ha seguito per niente le vicissitudini del pilota di Oviedo.
Lasciata la F1 al termine della stagione 2018 (si dice solo provvisoriamente e un giorno sì e un giorno no si parla del suo ipotetico ritorno nel 2021, dato che ormai è troppo tardi per il 2020), il suo futuro è stato da subito chiaro e definito: nel 2019 avrebbe partecipato alla 500 miglia di Indianapolis, ancora una volta con i colori della McLaren. La scelta più ovvia era un'ulteriore partnership con il team Andretti, come nel 2017, scelta tuttavia destinata a non concretizzarsi.
Perché la squadra di Michael Andretti ha detto di no? Non certo perché non fosse rimasta impressionata dalla capacità del due volte campione del mondo di Formula 1 di adattarsi agli ovali o dal suo passo gara. Non certo perché non fosse un buon investimento dal punto di vista mediatico: grazie alla presenza di Alonso in una sola gara del campionato, il campionato stesso ne ha tratto un'enorme risonanza anche in Europa. Allora perché no? Semplice, perché Honda era già contraria.
L'anno scorso la conseguenza è stato un team indipendente, McLaren-Chevrolet, che ha iniziato poi a collaborare con la Carlin: due scelte che hanno avuto i loro risvolti negativi, in primis una vettura incapace di andare oltre la posizione 34 in una qualifica che dà l'accesso alla griglia di partenza a sole 33 vetture, un episodio quasi paradossale, trattandosi del pilota che, pur non prendendo parte alla serie in pianta stabile, adombra qualsiasi altro pilota Indy full-time.
Il veto di quest'anno della casa giapponese non ha nulla di clamoroso proprio alla luce degli eventi di un anno fa: è solo un ripetersi, con qualche variante, della stessa storia, mentre di certo non si ripeterà un altro tentativo di qualifica al volante di una vettura di un team che non possa offrire almeno la garanzia della qualificazione. Il problema a cui l'ex pilota della Ferrari è destinato ad andare incontro è la grande importanza di Honda, non solo per il team di Andretti.
Se in Formula 1 un veto di Honda potrebbe precludere allo spagnolo al massimo un ingaggio da parte della Red Bull o della Alpha Tauri, entrambe opzioni abbastanza improbabili visto il loro orientamento al junior team, in Indycar ci sono soltanto due motoristi, Honda e Chevrolet: inizia ad essere molto più difficile trovare un sedile da "sfruttare" per vincere finalmente l'agognata Triple Crown, con il motorista giapponese fornitore di motori per circa metà schieramento Indy.
Da un lato Honda sta mettendo i bastoni tra le ruote a uno dei piloti più mediatici e indirettamente marketing-friendly, dall'altro ci sono buone probabilità che Alonso sia costretto a guardare la Indy 500 da casa, sia tenendo conto che Andretti fosse l'opzione migliore per una entry one-off nella stagione 2020, sia per le altre eventuali opzioni che potrebbero essergli precluse. Antipatico pensare a un futuro senza un ritorno di Fernando a Indianapolis?
Effetti collaterali di un percorso fuorviante preso anni addietro? Il suo estro nei team radio gli avrà anche portato più sostenitori tra il grande pubblico, proprio con certe manifestazioni di critica non costruttiva. Prendendo spunto da quella pesante esternazione di Suzuka, e non solo, lamentarsi di correre in GP2 non è stata esattamente un'azione da genio. Il silente boicottaggio Honda sta mostrando ancora oggi i tangibili e duraturi effetti: Indy-karma.
Lasciata la F1 al termine della stagione 2018 (si dice solo provvisoriamente e un giorno sì e un giorno no si parla del suo ipotetico ritorno nel 2021, dato che ormai è troppo tardi per il 2020), il suo futuro è stato da subito chiaro e definito: nel 2019 avrebbe partecipato alla 500 miglia di Indianapolis, ancora una volta con i colori della McLaren. La scelta più ovvia era un'ulteriore partnership con il team Andretti, come nel 2017, scelta tuttavia destinata a non concretizzarsi.
Perché la squadra di Michael Andretti ha detto di no? Non certo perché non fosse rimasta impressionata dalla capacità del due volte campione del mondo di Formula 1 di adattarsi agli ovali o dal suo passo gara. Non certo perché non fosse un buon investimento dal punto di vista mediatico: grazie alla presenza di Alonso in una sola gara del campionato, il campionato stesso ne ha tratto un'enorme risonanza anche in Europa. Allora perché no? Semplice, perché Honda era già contraria.
L'anno scorso la conseguenza è stato un team indipendente, McLaren-Chevrolet, che ha iniziato poi a collaborare con la Carlin: due scelte che hanno avuto i loro risvolti negativi, in primis una vettura incapace di andare oltre la posizione 34 in una qualifica che dà l'accesso alla griglia di partenza a sole 33 vetture, un episodio quasi paradossale, trattandosi del pilota che, pur non prendendo parte alla serie in pianta stabile, adombra qualsiasi altro pilota Indy full-time.
Il veto di quest'anno della casa giapponese non ha nulla di clamoroso proprio alla luce degli eventi di un anno fa: è solo un ripetersi, con qualche variante, della stessa storia, mentre di certo non si ripeterà un altro tentativo di qualifica al volante di una vettura di un team che non possa offrire almeno la garanzia della qualificazione. Il problema a cui l'ex pilota della Ferrari è destinato ad andare incontro è la grande importanza di Honda, non solo per il team di Andretti.
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Effetti collaterali di un percorso fuorviante preso anni addietro? Il suo estro nei team radio gli avrà anche portato più sostenitori tra il grande pubblico, proprio con certe manifestazioni di critica non costruttiva. Prendendo spunto da quella pesante esternazione di Suzuka, e non solo, lamentarsi di correre in GP2 non è stata esattamente un'azione da genio. Il silente boicottaggio Honda sta mostrando ancora oggi i tangibili e duraturi effetti: Indy-karma.