Sochi. «Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine». Così Machiavelli si esprimeva nel secolo XVI. Allo stesso modo, oggi, la Mercedes ci insegna (di nuovo) come si vince in questo sport. Con buona pace della Ferrari che, per ora, arranca come un cavallo ferito.
La voce di Toto Wolff in radio: «Difficult day for you, difficult day for us». Queste le parole dell’austriaco rivolte a Valtteri Bottas, a pochi chilometri dalla fine del gran premio di Sochi in Russia, una gara segnata da un errore strategico lieve del team di Stoccarda e dal conseguente sorpasso di Vettel ai danni di Hamilton. Una gara che l’inglese si riprende con un sorpasso aggressivo, quasi miracoloso ai danni del rivale tedesco.
Fin qui tutto bene, se non fosse per quel finlandese che proprio sul circuito di Sochi, dopo un sabato d’eccellenza, è lì al primo posto e sembra pronto a cogliere il suo primo successo stagionale: buono per l’umore in primis, per mantenere quel clima di complicità proprio di ogni squadra di successo. Bottas lascia passare Lewis, gli copre le spalle e a pochi giri dalla fine della corsa, timidamente, prova a chiedere indietro la prima posizione.
Ma no, non è tempo di vittorie finlandesi, per Valtteri non c’è spazio: il mondiale è teso, anzi tesissimo, la lotta fra Hamilton e Vettel è la priorità: bisogna rafforzare la leadership in campionato del #44. A qualunque costo. Le parole di Toto si schiantano nelle orecchie di Bottas come una sentenza: «Positions to stay as they are».
Il fine giustifica i mezzi: il pensiero di Machiavelli semplificato e adattato allo sport. La Ferrari ne sa qualcosa. Jean Todt, il piccolo “miracolaio” di Maranello, contributo umano essenziale ai trionfi in rosso del Kaiser, ci ha insegnato proprio questo. Oggi la Mercedes replica, con un’intensità magmatica, quello stesso approccio.
Un approccio vincente, parliamoci chiaro.
A fine gara facce funeree, imbarazzo, lacrime sfiorate, neanche fossimo di fronte a una tragedia vera, una di quelle che la Formula 1 conosce fin troppo bene. Un Hamilton che non festeggia, non ci riesce, proprio lui: egocentrico, emotivo, predisposto al massimo sforzo per il raggiungimento del massimo risultato, quello del trionfo totale, dello schiacciamento dell’avversario. No, niente sorrisi, niente ruggiti né pugni stretti dalla gioia, ma un abbraccio a Valtteri e parole di conforto.
Ma il fine giustifica i mezzi, va bene così. E quei 7 punti in più, alla fine dei giochi, potrebbero valere oro.
Il fine giustifica i mezzi: il pensiero di Machiavelli semplificato e adattato allo sport. La Ferrari ne sa qualcosa. Jean Todt, il piccolo “miracolaio” di Maranello, contributo umano essenziale ai trionfi in rosso del Kaiser, ci ha insegnato proprio questo. Oggi la Mercedes replica, con un’intensità magmatica, quello stesso approccio.
Un approccio vincente, parliamoci chiaro.
A fine gara facce funeree, imbarazzo, lacrime sfiorate, neanche fossimo di fronte a una tragedia vera, una di quelle che la Formula 1 conosce fin troppo bene. Un Hamilton che non festeggia, non ci riesce, proprio lui: egocentrico, emotivo, predisposto al massimo sforzo per il raggiungimento del massimo risultato, quello del trionfo totale, dello schiacciamento dell’avversario. No, niente sorrisi, niente ruggiti né pugni stretti dalla gioia, ma un abbraccio a Valtteri e parole di conforto.
Ma il fine giustifica i mezzi, va bene così. E quei 7 punti in più, alla fine dei giochi, potrebbero valere oro.
Toto Wolff è il nuovo Machiavelli del Circus: tostissimo, cinico quando serve, emotivo (pure lui), tanto da far tremare di nuovo quel suo famoso tavolino con un pugno rabbioso quando Lewis esce dai box dietro a Sebastian. Ma anche decisionista, distaccato il giusto, manager e sportivo insieme. L’antagonista più complesso per Maranello.
Ma via quelle facce da funerale – non è morto nessuno – e via quella mortificazione propria dei perdenti, perché a Sochi si è consumata una vittoria: cinica, meno umana di altre, meno spettacolare per Lewis ma più dolorosa per la Ferrari.
La Mercedes c’è. Toto Wolff c’è. E ha dimostrato di esserci anche Hamilton, con quell’affondo decisivo sul rivale nel momento in cui, forse, poteva anche decidere di non correre il rischio.
Ma via quelle facce da funerale – non è morto nessuno – e via quella mortificazione propria dei perdenti, perché a Sochi si è consumata una vittoria: cinica, meno umana di altre, meno spettacolare per Lewis ma più dolorosa per la Ferrari.
La Mercedes c’è. Toto Wolff c’è. E ha dimostrato di esserci anche Hamilton, con quell’affondo decisivo sul rivale nel momento in cui, forse, poteva anche decidere di non correre il rischio.
Per il team di Stoccarda è la vittoria numero 75 dal rientro nel circus. 75 trionfi in 172 prove totali. Una media che diventa spaventosa – 75/95 – se si considera la sola era ibrida, segnata oramai indelebilmente dalla stella Mercedes, interprete perfetta di un’epoca regolamentare sui generis, in cui gli avversarsi hanno sfiorato il sogno per ricadere nella delusione.