La sua gara. Quella di casa, lì a San Paolo, la sua città. Una gara d'antologia, di quelle che passeranno le epoche in divenire, senza perdere aderenza alcuna nei fatti. Un'impresa colossale, da manuale in tutti i sensi, visto il progressivo abbandono di quasi tutti i rapporti di un intero cambio. Dinanzi la Torcida, vinse Ayrton Senna da Silva su McLaren-Honda MP4/6.
I
nterlagos 1991. Jacarepaguá, uno scherzo del destino per il grande Ayrton Senna. Un tracciato monopolizzato dal rivale Alain Prost, dal conterraneo rivale Nelson Piquet. Dal rivale buono, quello più rispettato, Nigel Mansell. Com'anche nel 1990, dove il rientro del circuito di San Paolo segnò la sesta del nativo di Lorette, il record assoluto di vittorie ancora imbattuto in terra brasiliana.
L'odiato a visiera abbassata Alain, quel francese capace di cannibalizzare le grane nere da gran premio della nazione più estesa in superficie del Sud America. Un dominatore quasi incontrastato, si diceva. Uno scherzo beffardo sempre più assumente proporzioni territoriali, un confronto di tappa che paradossalmente non rendeva giustizia all'idolo di casa delle Torcide. Neanche quando la McLaren-Honda si abbandonò completamente al paulista l'agognato successo nella sua culla pareva materializzarsi.
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Il tutto ad opera dell'altro sceneggiatore che restituì anche ai posteri la leggenda di nome Ayrton. Una Ferrari, tremendamente veloce, sublimata dallo scomodo, solito transalpino, si pose sul gradino alto del podio di Interlagos, lì a San Paolo. Lì dove Senna dovette trascendere in una condizione totalmente irrazionale nel primo anno dell'ultima decade del secolo scorso. Per divenire profeta in patria.
Tra i laghi. Guarapiranga e Billings. Andò di scena una corsa a ritmo di samba, da ricordare per una metaforica rivolta meccanica. Una ricetta che diede crescente fervore verso lo sventolio della pezza scaccata, un indimenticabile sapore visto l'esito ultimo. Un momento tanto atteso dal mondo intero, quello malato di Formula 1, dagli abitanti locali, le anime preganti del loro Dio in terra.
Una McLaren, avente il nuovo propulsore Honda da 12 cilindri, l'ennesima erede di quel regno di Woking iniziato dalla famigerata MP4/4. L'ultima scena, lunga quanto la stagione iridata del 1991, in cui il trionfo totale di Ayrton Senna rappresentò l'apice sommo di una intera carriera. Nel mentre che la sua rivale storica del decennio precedente facesse le ultime prove generali per un dominio inedito targato Renault.
Era la Williams del Leone d'Inghilterra a creare grane al padrone del Circus in quella stagione. L'unico anno in cui l'asso brasiliano dovette misurarsi con il baffuto e redivivo pilota nativo di Upton-upon-Severn. Quando il rivale di una vita si trovò impantanato in una vettura rossa idealmente ferma a quella Suzuka '90, quando la ancor più notissima vendetta si consumò, pronti, via, all'imbocco della curva inaugurale del primo passaggio nello snake.
Una crisi tecnica quella della Ferrari, un divorzio insanabile con il tre volte mondiale Prost, un turbinio di veleni interni che gettarono nel baratro una scuderia in precario equilibrio. L'annata tombale per la dicotomia più celebre e cruenta dell'intera storia della beneamata categoria regina del motorsport. Un lutto vero e proprio per i puristi dell'antagonismo senza bandiera, delle guerre sportive vibranti su connotazioni d'odio senza pari.
Tra i laghi. Guarapiranga e Billings. Andò di scena una corsa a ritmo di samba, da ricordare per una metaforica rivolta meccanica. Una ricetta che diede crescente fervore verso lo sventolio della pezza scaccata, un indimenticabile sapore visto l'esito ultimo. Un momento tanto atteso dal mondo intero, quello malato di Formula 1, dagli abitanti locali, le anime preganti del loro Dio in terra.
Una McLaren, avente il nuovo propulsore Honda da 12 cilindri, l'ennesima erede di quel regno di Woking iniziato dalla famigerata MP4/4. L'ultima scena, lunga quanto la stagione iridata del 1991, in cui il trionfo totale di Ayrton Senna rappresentò l'apice sommo di una intera carriera. Nel mentre che la sua rivale storica del decennio precedente facesse le ultime prove generali per un dominio inedito targato Renault.
Era la Williams del Leone d'Inghilterra a creare grane al padrone del Circus in quella stagione. L'unico anno in cui l'asso brasiliano dovette misurarsi con il baffuto e redivivo pilota nativo di Upton-upon-Severn. Quando il rivale di una vita si trovò impantanato in una vettura rossa idealmente ferma a quella Suzuka '90, quando la ancor più notissima vendetta si consumò, pronti, via, all'imbocco della curva inaugurale del primo passaggio nello snake.
Una crisi tecnica quella della Ferrari, un divorzio insanabile con il tre volte mondiale Prost, un turbinio di veleni interni che gettarono nel baratro una scuderia in precario equilibrio. L'annata tombale per la dicotomia più celebre e cruenta dell'intera storia della beneamata categoria regina del motorsport. Un lutto vero e proprio per i puristi dell'antagonismo senza bandiera, delle guerre sportive vibranti su connotazioni d'odio senza pari.
Fu proprio Mansell a tentare di incrinare le certezze del Senna pensiero relativamente la vittoria domenicale in Brasile, nonostante la solita pole position annoverata al sabato. Una Williams FW14 velocissima, guidata dall'aggressività fatta a pilota per eccellenza, tenuta di rincalzo da un nome italiano, Riccardo Patrese. Un padovano fortissimo, incompiuto nonostante le vetture avute a disposizione.
Ayrton rintuzza per l'intera gara le mire espansionistiche del #5 dello schieramento di allora, tenendo un ritmo più lento, snervante in costanza per lo straripante avversario di giornata. Fregato doppiamente quando in odore di sorpasso, una imprevista foratura al cinquantesimo passaggio, l'ufficialità della rivolta meccanica alla sessantunesima tornata. La rottura del cambio della superiore Williams valse un DNF al generoso Nigel, valse l'inizio del gioioso putiferio per la Torcida in odore di vittoria.
Non fosse che la tornata precedente all'illustre ritiro, alla fine dei giochi domenicali, avesse rappresentato il vero principio della oramai famosa rivolta meccanica. La quarta marcia sul cambio in assistenza al 12 cilindri Honda della MP4/6 con l'uno sul musetto si tagliò fuori dall'ordine naturale delle cambiate. Una noia tecnica circoscritta, gestibile quasi senza patemi, l'anticamera di una lenta, progressiva perdita in rapporti cambio, quasi totale.
Ayrton rimase solo, alle prese coi suoi fantasmi brasiliani, solo in prima posizione, pressoché senza freno motore. S do Senna, Laranja, Juncao, tutte frenate in salita, tutte in soccorso per fermare una vettura aggrappata ai dischi freno. Tutte discese, Curva do Sol, Reta Oposta, Mergulho, per restituire un minimo di abbrivio ad un motore irrigidito dal crollo coppia ai medio-bassi regimi. Descida do Lago e Pinheirinho, le due curve critiche, le valli del terrore.
Arrivò la settantunesima vuelta, la fine di un epilogo dai connotati drammatici, dal risvolto delirante per il grosso della Torcida sulla Subida dos boxes. Un urlo alieno in mondovisione, un conseguente cedimento fisico, conclamato da una pressione mentale inquantificabile. Arrivò la prima dinanzi la sua gente, in sesta marcia assoluta. Protetto da un cambio motore singhiozzante senza più rimedio. Quello della Williams di Riccardo Patrese.
Gianluca Langella.
Follow @redf1gp
Ayrton rintuzza per l'intera gara le mire espansionistiche del #5 dello schieramento di allora, tenendo un ritmo più lento, snervante in costanza per lo straripante avversario di giornata. Fregato doppiamente quando in odore di sorpasso, una imprevista foratura al cinquantesimo passaggio, l'ufficialità della rivolta meccanica alla sessantunesima tornata. La rottura del cambio della superiore Williams valse un DNF al generoso Nigel, valse l'inizio del gioioso putiferio per la Torcida in odore di vittoria.
Non fosse che la tornata precedente all'illustre ritiro, alla fine dei giochi domenicali, avesse rappresentato il vero principio della oramai famosa rivolta meccanica. La quarta marcia sul cambio in assistenza al 12 cilindri Honda della MP4/6 con l'uno sul musetto si tagliò fuori dall'ordine naturale delle cambiate. Una noia tecnica circoscritta, gestibile quasi senza patemi, l'anticamera di una lenta, progressiva perdita in rapporti cambio, quasi totale.
Ayrton rimase solo, alle prese coi suoi fantasmi brasiliani, solo in prima posizione, pressoché senza freno motore. S do Senna, Laranja, Juncao, tutte frenate in salita, tutte in soccorso per fermare una vettura aggrappata ai dischi freno. Tutte discese, Curva do Sol, Reta Oposta, Mergulho, per restituire un minimo di abbrivio ad un motore irrigidito dal crollo coppia ai medio-bassi regimi. Descida do Lago e Pinheirinho, le due curve critiche, le valli del terrore.
Arrivò la settantunesima vuelta, la fine di un epilogo dai connotati drammatici, dal risvolto delirante per il grosso della Torcida sulla Subida dos boxes. Un urlo alieno in mondovisione, un conseguente cedimento fisico, conclamato da una pressione mentale inquantificabile. Arrivò la prima dinanzi la sua gente, in sesta marcia assoluta. Protetto da un cambio motore singhiozzante senza più rimedio. Quello della Williams di Riccardo Patrese.
Gianluca Langella.
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